Pelé, una storia scritta a pelo d’erba

di Massimo Ciccognani

Era il Dio del calcio, senza se e senza ma. Piange il Brasile, ma piange l’intero mondo del pallone la morte di O Rei, Edson Arantes do Nascimento, per tutti semplicemente Pelè. Il Mito, l’unico calciatore del pianeta ad alzare tre volte al cielo la coppa del mondo di calcio, nel 1958, nel 1962 e nel 1970, 1281 gol in carriera secondo le statistiche riportate dalla Fifa. Aveva 82 anni, ancora giovane. Il dibattito infinito su chi fosse il migliore tra lui e Diego Armando Maradona, adesso si trasferisce da un’altra parte. In noi rimarranno le gesta, le immagini di un uomo vissuto in un’epoca dove non c’era la televisione, dove quello che ci veniva raccontato, era troppo poco. Pelé è stato un’autentica leggenda del mondo del calcio. E’ vero ha giocato solo in Brasile senza mai confrontarsi con altri Contimenti e realtà, ma basta e avanza per comprendere chi fosse in reatà Pelè. Forse un extraterrestre, capace di abbinare una tecnica stratosferica alla fisicità di un atleta di stampo olimpico. Di lui rimarranno indelebili le rovesciate che erano poesia per gli occhi gonfi di gioia di chi le ha viste dal vivo, l’incredibile elevazione che aveva nello stacco aereo, i giochi di gambe nell’uno contro uno, la semplicità con la quale mandava l’avversario al bar.  Pelé appartiene nella storia, prima di lui Di Stafano, dopo di lui Maradona. Il brasiliano era il più completo, senza accapigliarci su chi fosse il migliore, come è stato dopo che Pelé e Maradona hanno appeso gli scafpini al chiodo. Maradona era un genio palla al piede, Pelé era la perfezione nei gesti. Il migliore, o i migliori, adesso se li godono lassù, dove tutto è immensamente più bello, in quelle praterie dove il Dio divino può sedersi e vedere da vicino l’altro Dio, quello del calcio. Ne sarà orgoglioso. 

Pelé ha vinto tre mondiali, nel 1958 in Svezia, nella finale che i carioca vinsero per 5-2 contro i padroni di casa, segnando il gol del momentaneo 3-1 per la selecao con uno dei gol più belli della storia del calcio: stop di petto, pallonetto che venne poi definito “sombrero” per saltare Gustavsson, palla che Pelé riprese al volo con una conclusione di prima intenzione che battè il portiere svedese Svensson.  Quattro anni dopo, in Cile, il secondo mondiale. Lui la stella brasiliana, ol all’esordio contro il Messico, poi l’infortunio all’inguone nella seconda gara contro la Cecoslovacchia che lo costroinse a saltare il resto del mondiale. Che il Brasile vinse lo stesso battendo in finale la stessa Cecoslovacchia. Terzo titolo nel 1970 a Città del Messico nel 4-1 del Brasile all’Italia. E’ il Brasile più forte di tutti i tempi, con in campo stelle come Pelé, Gerson, Rivelino, Tostão e Jairzinho, che nessun altro poteva permettersi, Una macchina da guerra che in finale si ritrova l’azzurro della nostra nazionale che il miracolo lo aveva compiuto in semifinale battendo per 4-3 la Germania nella partita del secolo. La Perla Nera incanta e trascina i suoi sul tetto del mondo. Il vantaggio brasiliano lo firma Pelè staccando perentorio di testa sovrastando nettamente Burgnich. Il pari di Boninsegna è di rabbia, la sostanza è verdeoro, con gli azzurri che crollano sotto le giocate di Pelè che manda al tiro Gerson, Jairzinho e Carlos Alberto per il 4-1 finale. E coppa del Mondop alzata al cielo da Pelè. Impresa irripetibile. 

Una vita con la stessa maglia quella del Santos, indossata per 17 anni, dal 1957 al 1974, vinendo tutto: dieci campionati paulisti, sei campionati brasiliani, cinque Taça Brasil, due coppe Libertadores, due coppe Intercontinentali, una supercoppa dei campioni intercontinentali. L’addio al calcio il 1° ottobre del 1977 in un match amichevole al Giants Stadium tra Cosmos e Santos a sancire ventidue anni di pura poesia calcistica. Era l’ambasciatore del calcio nel mondo. E indossava quella maglia che con orgoglio ha sempre vestito, quelle verdeoro del suo Brazil. Fifa, Cio e l’Iffhs lo hanno nominato “Giocatore del secolo”, e nel 2014 ha ricevuto il Pallone d’Oro onorario della Fifa. Nessuno come lui, tanto che il Brasile nel 2011 lo dichiara “Patrimonio storico-sportivo dell’umanità”. 

Nella sua carriera, sbagliò solo quattro calci di rigore, uno contro la Roma il 3 marzo del 1972, nell’amichevole tra Roma e Cosmos in un Olimpico che sembrava la copia del Maracanà, con 90mila persone sugli spalti, molti entratio anche senza biglietto per volere del Questore che diede l’ordine di aprire i cancelli per evitare feriti nella calca che si era creata fuori l’Olimpico. Finì 0-0 ma con un calcio dinrigore che Alberto Ginulfi parò al Mito Pelé: pallone sul dischetto, Pelé che sposta il corpo sulla sinistra oer indurre il portiere a buttarsi dalla parte opposta.Ma Ginulfi, per istinto, rimase in piedi e si gettò alla sua sinistra,smanacciando il pallone. Il sorriso di Pelé che andò incontro a Ginulfi e lo abbracciò. 

Se ne è andata una leggenda che ha scritto una meravigliosa storia. Lo incontrai in vari eventi Fifa, nel 2014 e nel 2017 a ridosso del mondiale in Russia, e ancora prima ad un evento nel 2003 insieme ad Eusebio e Bobby Charlton. Pelé era testimonial per la Fifa. Pacato, sempre un sorriso per tutti, gli piaceva parlare. Di calcio, la sua vita. Ci ha illuninato gli occhi con il suo calcio. Per questo non finiremo mai di ringraziarlo. Ciao Mito, che la terra ti sia lieve.

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