Quello che l’Italia non dice

di Massimo Ciccognani

Il grande giorno è arrivato. Finalmente. Ma solo per qualcuno. Non certo per noi italiani. E a pensarci bene, fa proprio tanto male non esserci, perché il Mondiale non appartiene soltanto a chi vive di pane e pallone, ma appartiene ad un Paese che in un mese si stringe con amore verso quella maglia, quei colori. Perché il Mondiale è aggregazione, è un momento di infinita felicità. Per noi, quest’anno, non sarà così. Andiamo avanti col cuore intristito. Giri per Mosca e vedi i colori del mondo, le voci del mondo del pallone, ma non vedi il nostro tricolore, non senti cantare il più classico dei po-po-po-po che hanno fatto da colonna sonora alle nostre notti magiche. Solo tristezza, senza continuare a cercare colpevoli che sappiamo benissimo chi sono, nomi e cognomi, da Tavecchio a Ventura, gli “Schettino” del nostro mondo pallonaro, che non hanno certo fatto vittime come l’ex comandante Costa, ma hanno fatto danni inenarrabili che hanno colpito il cuore di un Paese che non vive di solo calcio ma che ha sempre fatto della Nazionale il suo vanto. Oggi tutto questo, giorno dell’inizio del mondiale, non ci interessa più. La storia non si cambia, non si può tornare indietro e rivivere quell’Italia-Svezia che ha rappresentato una delle pagine più nere del nostro football. Oggi il nostro pensiero è a tutti gli italiani che sono a casa, a tutti quei bambini che nel loro immaginario collettivo guardano ai campioni del pallone che rotola sognando di poterli un giorno emulare. Ma è un pensiero da condivivere con l’intero Paese, con donne, mamme, papà, nonni che da stasera non avranno un motivo per accendere la tv e guardare il gran gala del calcio, perché non è il nostro. Siamo tutti orfani di un qualcosa che ha sempre fatto parte della nostra storia senza essere per forza amanti del calcio. Ma oggi si comincia e il nostro dovere è quello di raccontarvi fatti, storie, sfide di una elettricità unica, senza pensare a quella ferita che non sarà mai rimarginata. Lo faremo perché il Mondiale è qualcosa di unico, è quell’evento che riesce ad avvicinare i popoli, a cancellare le barriere divistiche, religiose, politiche. Il calcio è uno solo ed è veramente di chi lo ama. Come vi scrive che avrebbe voglia di svegliarsi il 16 luglio per non finire nel tritacarne del rimpianto. Tanto non ci restituiscono più nulla. E allora andremo avanti, con la voglia di gustarci e raccontarvi qualcosa di unico, ma col pensiero che va oltre, agli Europei del 2020 e perché no, anche ai mondiali in Qatar del 2022, quando ci saremo, perché siamo in debito con il sistema calcio che h il sacrosanto dovere di risarcirci al più presto. Ma oggi, è anche un giorno felice per chi lavora e ama questo sport, come noi, perché da stasera le stelle staranno a brillare sul cielo di Mosca. E illumineranno anche il nostro cammino professionale. Fino alla fine. Poi, domani, è un altro giorno. E si vedrà.

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