Gennaro Gattuso rinuncia a due anni di contratto con il Milan, “perché la mia storia non potrà mai essere una questione di soldi”. E’ una lezione, di vita, dignità, fermezza. E guai a individuare nel portafogli da privilegiato del pallone l’unica ragione, perché il calcio è pieno di rotture e raramente si condisce di certi principi. Di valori. Gennaro Gattuso ha spesso agito e reagito d’istinto. Di quelli vive, ha vissuto da calciatore, Ringhio non è soprannome che ci si guadagna a suon di carezze ed esclusivo raziocinio. Ha sbagliato e si è corretto, ha attaccato e ha chiesto scusa. Bolle, si raffredda, acqua che sa prendere la forma del suo contenitore ma che non ha mai trovato, finora, una diga capace di contenerne gli istinti. Animali, veri, vivi. E sinceri. Perché in una frase, in un addio, c’è Gennaro Gattuso. C’è l’uomo, nato a Corigliano Calabro quarantuno anni fa. Quello che giocava sotto falso nome i terza categoria, per scendere in campo coi grandi. Quello che ha svoltato in Scozia, che si prese una scarpata da Walter Smith per l’eccesso di cuore e generosità e per un giallo preso dopo venti secondi. Quello di Joe Jordan ma pure degli abbracci, degli scherzi con Pirlo. Degli applausi dei suoi tifosi, di un club che gli ha dato tanto e dove ha dato l’anima. Qui si discute e celebra l’uomo, fatto di sbagli ma di sincerità. Qui si racconta di un allenatore che ha dato tutto e quello non è bastato. Però c’è qualcosa che va oltre ai risultati, nella vita. Ed è la vita stessa.