Fernando Torres ha deciso di appendere gli scarpini al chiodo. El Niño, a 35 anni, conclude una carriera ricca di successi, piena di gioie, ma anche costituita da qualche rimpianto. Eleganza, fiuto del gol, concretezza, guizzi, tutti ingredienti che lo hanno accompagnato nel suo percorso calcistico, a volte limitati terribilmente dagli infortuni. Lo spagnolo, ai tempi di Liverpool, è considerato uno – se non il – degli attaccanti più forti al mondo. Le sue accelerazioni sono micidiali, le sue nobili movenze in area di rigore eludono ogni tipologia di marcatura. Sovente decisivo nei momenti che contano, El Niño stupisce e conquista l’Inghilterra. Gli inizi con l’Atletico Madrid promettono bene, in Premier League le attese vengono confermate. Nel 2008 sigla il gol decisivo nella finale europea con la Germania, un acuto da punta vera, regalando alla Spagna il primo di una lunga serie di strepitosi successi. L’apice viene toccato, Torres è un attaccante moderno, completo, letale. Purtroppo però, i problemi fisici iniziano a farsi sempre più seri. Nel 2010 si laurea Campione del Mondo, raggiungendo un traguardo storico con la Roja. Gli acciacchi limitano il minutaggio dello spagnolo e, a tal proposito, è emblematica l’immagine in cui resta accasciato a terra – dolorante – dopo la vittoria in finale con l’Olanda. Nonostante le varie problematiche, il Chelsea decide di puntare su di lui, spendendo la cifra record di quasi 60 milioni. La condizione fisica nei blues, non è delle migliori. Il valore del calciatore viene comunque confermato da un dato estremamente significativo: pochi gol, ma pesanti. Con i londinesi vince una Champions League, competizione nella quale segna un gol memorabile in semifinale al Barcellona al Camp Nou – i blaugrana sono spesso una delle vittime preferite della punta-. Le soddisfazioni non finiscono qui, El Niño si aggiudica anche un Europa League, sbloccando tra l’altro la finale – vinta poi per 2-1 – con il Benfica. In mezzo un altro Europeo vinto con la Spagna, nel quale ruggisce ancora una volta in finale, questa volta con l’Italia, punendo una leggenda come Gigi Buffon.
Torres decide poi di optare sull’esperienza italiana, scegliendo il Milan da sempre sua estimatrice. Le cose non vanno nel verso giusto e appena c’è la possibilità di tornare ai Colchoneros, non si fa scappare l’opportunità. El Niño torna dal suo primo e probabilmente unico amore. Con Simeone raggiunge grandi livelli, rivelandosi letale nel 2016 in Champions con Barcellona e Bayern Monaco. In finale ha l’opportunità della vita: alzare la coppa dalle grandi orecchie davanti al Real Madrid, storica rivale dei biancorossi. Il destino non è però dalla sua parte: l’Atletico perde ai rigori, le lacrime di Torres fanno il giro del mondo, ma rafforzano ancora di più il legame con la sua gente. Riuscirà comunque ad alzare l’unico trofeo a Madrid, avvalorato dalla fascia di capitano: la vittoria dell’Europa League della scorsa stagione. Un cammino arricchito da incredibili trofei, uno dei pochi eletti a vincere le principale competizioni calcistiche. Nonostante questo, avrebbe potuto fare ancora di più, ma va bene così: un posto sicuro nel cuore nei tifosi dell’Atletico ce l’avrà per sempre. Un anno in Giappone, prima del canto del Niño. Signori e signore, si chiude un’era. Fernando Torres ha detto basta, dopo essere entrato a tutti gli effetti nella storia di questo meraviglioso sport.