Dario Ricci *
Tre risse sugli spalti (tutte scoppiate nel secondo tempo, tutte nel primo anello, due sotto la curva milanista, una nella gradinata sottostante la tribuna stampa), due invasioni di campo, gli steward in larga parte seduti a guardare la partita, sempre in ritardo nei loro interventi (oppure del tutto assenti dai posti teoricamente loro assegnati per garantire la sicurezza di spettatori e impianto, oltre al rispetto delle norme anti-Covid).
Visto dalla bandierina, il bilancio del derby di Milano appena passato fa tremare i polsi dalla paura, e stringere i pugni per la rabbia. Giusto qualche domanda, da porsi ormai passati un po’ di giorni dalla stracittadina: cosa sarebbe potuto accadere se quellāinvasore che ha corso indisturbato davanti alle panchine di Inzaghi e Pioli (e che ĆØ poi stato placcato e malmenato dagli steward intervenuti colpevolmente in ritardo) fosse stato armato di un coltello, o semplicemente di un coccio di bottiglia? E perchĆ© esistono ancora nei nostri stadi ā e ancora adesso, in emergenza sanitaria ā zone extraterritoriali dove non esiste nĆ© legge, nĆ© regola, nĆ© possibilitĆ alcuna di far rispettare entrambi, affiancate da altre zone dove invece il semplice abbassarsi la mascherina per qualche minuto, per avere un po’ di sollievo e di aria, puĆ² comportare come minimo una sanzione, unāammenda, oppure anche peggio?
La cronaca (nera) del derby della Madonnina (che le tv hanno mostrato solo in parteā¦) si sposa con la (mala) gestione dellāemergenza pandemica da parte del nostro calcio (almeno e soprattutto in questo momento): la grancassa di quotidiani di ogni colore, foliazione e ispirazione pallonar-politica suona a gran ritmo di tamburi e soffia nel trombone la tronfia fanfara delle riaperture al 100%; richiesta legittima, se si vede al naturale e giusto desiderio di normalitĆ , socialitĆ , sport che anima tutti noi dopo due anni in trincea contro questo nemico invisibile (se non, e purtroppo, nei suoi piĆ¹ tragici effetti); ma richiesta al tempo stesso ingiustificata dai fatti, o meglio dai comportamenti, o ancor piĆ¹ precisamente dalla gestione degli stessi. Lāammassamento degli spettatori in alcuni settori, a dispetto di altri totalmente deserti; lāextra-territorialitĆ delle curve; la passiva gestione delle trasferte e dei gruppi ultrĆ che ne sono protagonisti: bastino questi tre elementi a evidenziare un senso di precarietĆ e provvisorietĆ che ā ahimĆ© e ahinoi ā non ĆØ figlio dellāemergenza pandemica, ma ĆØ esattamente lo stesso con cui ci si avvicinava agli stadi italiani fino al giorno prima dellāemergenza sanitaria.
E cāĆØ un colore, una macchia colorata che con i suoi spostamenti durante le partite esemplifica tutto questo: ĆØ il giallo (o a volte lāarancione) fosforescente che caratterizza gli steward, il loro posizionamento, i loro spostamenti allāinterno di un impianto. A San Siro, abitualmente, questo ĆØ il disegno che se ne ricava (inevitabilmente a macchia di leopardo): del tutto assenti in curva, assiepati alle spalle delle due porte nel primo anello di tribuna, sparpagliati in altri angoli dello stadio senza logica (almeno apparente), comunque tutti rigorosamente col volto fisso sul campo, la partita, i calciatori, invece che sugli spettatori (si veda, a dolente confronto, posizionamento e comportamento in un qualsiasi stadio inglese). La stessa Andes (Associazione Nazionale Delegati alla Sicurezza), in una nota in cui stigmatizza il comportamento di quegli steward che hanno brutalmente placcato lāinvasore di San Siro, sottolinea i limiti della categoria: stipendi da fame, scarsa formazione, mancata professionalizzazione.
Visti dallāangolo, sono proprio i punti principali su cui intervenire immediatamente per preparare i nostri stadi al ritorno alla normalitĆ , ed evitare che quel giallo fosforescente si trasformi in rosso, il colore della vergogna.
*giornalista di Radio24-IlSole24Ore