Uno stadio fuori controllo

Nella foto: uno degli invasori di San Siro bloccato dagli steward (foto Matteo Gribaudi/Image Sport)

Dario Ricci *

Tre risse sugli spalti (tutte scoppiate nel secondo tempo, tutte nel primo anello, due sotto la curva milanista, una nella gradinata sottostante la tribuna stampa), due invasioni di campo, gli steward in larga parte seduti a guardare la partita, sempre in ritardo nei loro interventi (oppure del tutto assenti dai posti teoricamente loro assegnati per garantire la sicurezza di spettatori e impianto, oltre al rispetto delle norme anti-Covid).

Visto dalla bandierina, il bilancio del derby di Milano appena passato fa tremare i polsi dalla paura, e stringere i pugni per la rabbia. Giusto qualche domanda, da porsi ormai passati un po’ di giorni dalla stracittadina: cosa sarebbe potuto accadere se quell’invasore che ha corso indisturbato davanti alle panchine di Inzaghi e Pioli (e che è poi stato placcato e malmenato dagli steward intervenuti colpevolmente in ritardo) fosse stato armato di un coltello, o semplicemente di un coccio di bottiglia? E perché esistono ancora nei nostri stadi – e ancora adesso, in emergenza sanitaria – zone extraterritoriali dove non esiste né legge, né regola, né possibilità alcuna di far rispettare entrambi, affiancate da altre zone dove invece il semplice abbassarsi la mascherina per qualche minuto, per avere un po’ di sollievo e di aria, può comportare come minimo una sanzione, un’ammenda, oppure anche peggio?

La cronaca (nera) del derby della Madonnina (che le tv hanno mostrato solo in parte…)  si sposa con la (mala) gestione dell’emergenza pandemica da parte del nostro calcio (almeno e soprattutto in questo momento): la grancassa di quotidiani di ogni colore, foliazione e ispirazione pallonar-politica suona a gran ritmo di tamburi e soffia nel trombone la tronfia fanfara delle riaperture al 100%; richiesta legittima, se si vede al naturale e giusto desiderio di normalità, socialità, sport che anima tutti noi dopo due anni in trincea contro questo nemico invisibile (se non, e purtroppo, nei suoi più tragici effetti); ma richiesta al tempo stesso ingiustificata dai fatti, o meglio dai comportamenti, o ancor più precisamente dalla gestione degli stessi. L’ammassamento degli spettatori in alcuni settori, a dispetto di altri totalmente deserti; l’extra-territorialità delle curve; la passiva gestione delle trasferte e dei gruppi ultrà che ne sono protagonisti: bastino questi tre elementi a evidenziare un senso di precarietà e provvisorietà che – ahimé e ahinoi – non è figlio dell’emergenza pandemica, ma è esattamente lo stesso con cui ci si avvicinava agli stadi italiani fino al giorno prima dell’emergenza sanitaria.

E c’è un colore, una macchia colorata che con i suoi spostamenti durante le partite esemplifica tutto questo: è il giallo (o a volte l’arancione) fosforescente che caratterizza gli steward, il loro posizionamento, i loro spostamenti all’interno di un impianto. A San Siro, abitualmente, questo è il disegno che se ne ricava (inevitabilmente a macchia di leopardo): del tutto assenti in curva, assiepati alle spalle delle due porte nel primo anello di tribuna, sparpagliati in altri angoli dello stadio senza logica (almeno apparente), comunque tutti rigorosamente col volto fisso sul campo, la partita, i calciatori, invece che sugli spettatori (si veda, a dolente confronto, posizionamento e comportamento in un qualsiasi stadio inglese). La stessa Andes (Associazione Nazionale Delegati alla Sicurezza), in una nota in cui stigmatizza il comportamento di quegli steward che hanno brutalmente placcato l’invasore di San Siro, sottolinea i limiti della categoria: stipendi da fame, scarsa formazione, mancata professionalizzazione.

Visti dall’angolo, sono proprio i punti principali su cui intervenire immediatamente per preparare i nostri stadi al ritorno alla normalità, ed evitare che quel giallo fosforescente si trasformi in rosso, il colore della vergogna.     

*giornalista di Radio24-IlSole24Ore

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