Massimo Ciccognani
La riconoscenza, non è di questo mondo, nella vita, come nello sport. Dove si dimentica tutto e pure in fretta. La riconoscenza non è stata alleata di Marcello Lippi che dopo il 2006 ripropose il gruppo che vinse il mondiale in Germania nel torneo in Sudafrica. E sappiamo come è finita. La riconoscenza ha tradito Roberto Mancini che dopo la vittoria dell’Europeo, ha continuato a dare fiducia a taluni calciatori spenti e fuori forma, finendo con il mancare la ben più importante qualificazione mondiale. La riconoscenza ha tradito Gabriele Gravina, numero uno della federcalcio che davanti al popolo che chiedeva la testa di Roberto Mancini dopo la mancata qualificazione ai mondiali in Qatar, ha difeso a spada tratta il suo condottiero sul campo, facendogli scudo e mettendoci la faccia.
La risposta la conosciamo, le parole al vetriolo di Mancini nell’intervista al collega Enrico Currò su Repubblica, sono inaccettabili. Currò ha fatto, da professionista, il suo lavoro, limitandosi al diritto di cronaca. Ma le dichiarazioni del Mancio meritavano un approfondimento diverso, perché non è affatto vero che il momento per andarsene era quello giusto. Le dichiarazioni di Mancini lasciano aperta la strada a tanti interrogativi. Ha provato a fare breccia nel pensiero della gente che però qualche domanda se l’è posta. Se è vero che i rapporti con Gravina e le idee non collimavano più da tempo, perché aspettare così tanto per dirsi addio. Mancini, se non era d’accordo con le nuove nomine, dove tra l’altro è stato eletto a coordinatore del Club Italia, doveva dirlo subito. L’ingresso di Buffon, che ha spiegato essere slegato dalla sua decisione, ha invece acuito i problemi. Come probabilmente, come è stato scritto su un quotidiano, il rischio di perdere anche Oriali, ha dato, nel pensiero dell’ex tecnico, la spallata decisiva. Ma che motivo c’era per aspettare tutto questo tempo. Separarsi non è un delitto, e Mancini poteva farlo dopo la sconfitta in Nations League e dare a via Allegri la possibilità di scegliere con più tempo il sostituto. Tra meno di venti giorni si torna in campo per le qualificazioni a Euro 2024 e di tempo non ce n’è molto, anzi.
La clausola di un possibile licenziamento qualora non fosse stata centrata la qualificazione a Euro 2024, sanno tanto di paura. Quella di non arrivare. Facile dire, adesso, che si sarebbe dimesso se non avesse portato a termine la missione. Parole che sanno di stantio, perché evidentemente la paura deve essere subentrata, visto che tra i motivi dell’addio c’era anche la richiesta di togliere la clausola. Per non parlare del suo futuro. Spero tanto non vada mai in Arabia. Se lo facesse, sarebbe la conferma dello stato di paura in cui è piombato. Troppo facile andare ad allenare una nazionale povera di calcio. Perché l’Arabia, è l’anticoncezionale del calcio vero, quella delle grandi nazionali, tra cui la nostra che è tra le big mondiali. L’Italia ha un bacino calciatori di grande spessore e mezzi per tornare a brillare anche con la Nazionale maggiore, dopo i grandi risultati delle giovanili, a cominciare dall’under 19 Campione d’Europa. Ecco perché promuovere Bollini era il minimo che si potesse fare. Andare in Arabia e, ripeto, spero non accada, sarebbe come scendere da una Ferrari testa Rossa e salire, con tutto il rispetto, su una Renaul Twingo.
L’intervista a tutto campo di Mancini, è piena di controsensi. Ma soprattutto di mancanza di riconoscenza verso l’uomo che dopo il fallimento di Qatar 2022, l’ha tenuto per mano, lo ha stretto forte per proteggerlo dalle intemperie. Di Roberto Mancini resterà la bellissima immagine di Wembley, quell’europeo vinto che ha fatto luccicare gli occhi all’intero mondo del pallone. Ma anche il neo di Qatar 2022. Mancini non è stato massacrato, ma difeso come un figlio da Gravina. Che adesso si sente solo. Gravina, se aveva puntato forte sull’ex ct, era perché, al netto di qualche incidente di percorso, ne ha riconosciuto le qualità. Quella di credere nei giovani che la lanciato in Nazionale quando neppure erano convocati nei Club, e di aver dato un gioco al team azzurro.
Nella vita tutti sono necessari, nessuno indispensabile. Passerà anche Roberto Mancini che poteva scegliere modi diversi per dirsi addio. Senza dirsi una parola. Invece ha parlato e gettato la croce addosso a Gravina. Questa se la poteva risparmiare.