*di Dario Ricci
E’ il più insuperabile dei difensori e, al tempo spesso (felice paradosso di quella non euclidea geometria che è il calcio) il più infallibile dei goleador. Quando entra lui, in uno spogliatoio, ne diventa inequivocabilmente il leader. Nel bene, e nel male. Perché con lui al suo fianco (e anzi, grazie alla sua sola presenza) i campioni si esaltano e riscoprono la loro più naturale essenza; i mediocri, invece, ritornano nella loro ombra, venendone sopraffatti.
E’ il Dubbio, signore e signori, il compagno/rivale con cui quotidianamente conviviamo, all’interno e al difuori di quel magico prato verde. Appare infido, ci divora, ci consuma, eppure al tempo stesso ci esalta e ci migliora, se solo riusciamo a domarlo, gestirlo, indirizzarlo nel suo folle vorticare.
Forse, dopo l’opaca (anche e soprattutto per merito dell’Inter, va detto) notte di San Siro, proprio col Dubbio hanno cominciato a convivere ora il Napoli e il suo demiurgo, il grande ex, Luciano Spalletti (allenatore capace e che – a latere di una carriera piena più di spine che di rose – ha pure dovuto risolvere due “problemini” dal nome Totti e Icardi, meritandosi gratitudine pari a zero dai rispettivi datori di lavoro di allora…).
Molte delle certezze acquisite dai partenopei finora (e certificate dallo straordinario andamento in campionato e dal solido cammino europeo) sono state scosse proprio da quel 3 a 2 più netto di quando non reciti lo stesso tabellino: solidità difensiva, saldezza di nervi, continuità di prestazione, leadership acquisite e riconosciute. Pilastri, tutti quelli citati, che Spalletti ha costruito domenica dopo domenica, giovedi (di Europa League) dopo giovedi. Basta un pareggio in fondo solo sfiorato per mandarle in frantumi? Di certo no, ma ovvio che il k.o. nello scontro diretto con i campioni d’Italia pesa doppio, in termini di classifica e interrogativi. Senza dimenticare – e come lo si potrebbe fare? – il peso specifico degli infortuni di Osimhen e Anguissa, due delle colonne del Napoli spallettiano, che si agganciano in modo sinistro, sotto il profilo cronologico, alla convocazione per la Coppa d’Africa che a gennaio attende entrambi. Ma insomma, eccolo il bivio che tutti prima o poi affrontano nel corso della stagione: permettere che il Dubbio alligni, cresca, devasti e divori, o far sì che da quello stesso Dubbio – ben gestito e produttivamente coltivato – germoglino nuove, e ancor più solide (e vincenti) certezze.
In questo fluido trascorrere di rare e instabili suggestioni, appaiono alcune minime e crepuscolari verità incontrovertibili. Visti dalla defilata posizione di un calciangolista, le giocate del torinista Brekalo appaiono sin d’ora degne di ancor più nobile palcoscenico; o meglio diventano stimolo e strumento affinché a quel piano superiore salga (o meglio, risalga) presto il Toro tutto, sotto la guida sapiente del suo Caronte Juric. E talentuoso senza dubbio il baby-goleador romanista Felix, che esonda a Marassi con tutta l’energia (ma anche l’allegro cinismo) dei suoi 18 anni. Meno felix – anzi quasi infelix – la scelta del “premio” con cui il pur saggio Mourinho ripaga il giovane ghanese: molto si è argomentato su battute dal bananesco sapore razzista che hanno accompagnato il video della consegna del dono stesso; ma insomma, regalare al ragazzo un paio di scarpe da 800 euro suona un filo enfatico, ridondante, al limite trimalcionesco e infine diseducativo, pensando che quella cifra in non rari casi corrisponde a poco meno (o ahimé anche poco più) di non pochi stipendi circolanti in questi anni sul patrio suolo. Meglio sarebbe stato – e chiudo la tirata moralistica e populistica! – un video messaggio d’augurio magari a firma Francesco Totti, capace di indicare al bomber-bambino la strada per indossarne – glielo auguriamo – fra qualche anno magari una sola, di Scarpa. Però d’Oro.
*giornalista di Radio24-IlSole24Ore