La più grande tragedia del calcio italiano, quella del 4 maggio del 1949. Un tardo pomeriggio, intorno alle 17, quando il sole è già calato, ma le condizioni meteo sopra Torino sono pessime, all’improvviso un rumore assordante sconvolge la vita di quel pomeriggio che presto diventerà tragedia. C’è un Fiat G 212 che sta sorvolando la zona antistante la Basilica di Superga, il punto più alto di Torino. Visibilità pari allo zero, il rombo del veivolo diventa assordante poi, lo schianto. Il ricordo è di un muratoe, Amilcare Rocco, la cui abitazione si trovava a pochi metri dalla Basilica. Esce di casa insieme ad altri contadini richiamati dal boato di pochi istanti prima. Si avvicinano al bastione della Basilica dove scorgono i resti di una carlinga avvolta nel fumo. Accorre anche don Tancredi Ricca, il cappellano che è il prio a rendersi conto del distrato, aggirandosi tra corpi arsi dalla fiamme. Per loro non c’era più nulla da fare. Intanto scatta l’allarme anche dal centro Aeritalia che nel frattempo ha perso i contatti morse con il G212. Inquietante l’ultimo contatto: “visibilità zero, se volete atterrare dovete andare alle cieca”. Il pilota comunicò la virata su Superga che era un fatto abituale in fase di atterraggio. Quello che è successo dopo, solo Dio lo sa: forse un malfunzionamento degli strumenti di bordo. Probabile che il pilota pensasse di trovarsi a quota diemila quando in realtà era ad appena duecento metri. L’impatto è stato violentissimo. Tutti morti i 31 passeggeri a bordo.
Ci volle poco per capire che sulla collina di Superga, era morto il mito, la squadra degli Invincibili, il Grande Torino che stava rientrando da Lisbona dove il giorno prima aveva disputato una amichevole contro il Benfica. Tutti morti, i calciatori, l’equipaggio e tre giornalisti al seguito della squadra, Renato Casalbore, Renato Tosatti e Luigi Cavallero. Superga aveva segnato la fine della più grande squadra del calcio italiano. Il Grande Torino era stato soprannominato la squadra degli “Invincibili”: Valerio Bacigalupo, Aldo e Dino Ballarin, Emile Bongiorni, Eusebio Castigliano, Rubens Fadini, Guglielmo Gabetto, Ruggero Grava, Giuseppe Grezar, Ezio Loik, Virgilio Maroso, Danilo Martelli, Valentino Mazzola, Romeo Menti, Piero Operto, Franco Ossola, Mario Rigamonti e Giulio Schubert. Si salvarono il secondo portiere Renato Gandolfi, Sauro Tomà rimasto a casa per un infortunio al ginocchio e Luigi Gandolfi, giovane del vivaio granata, oltre al presidente Ferruccio Novo, rimasto a Torino a causa di una broncopolmonito e il radiocronista Nicolò Carosio, rimasto a casa per la cresima del figlio. Fu il Ct della Nazionale, Vittorio Pozzo, a riconoscere i corpi delle vittime.
Una tragedia che sconvolse il Paese, perdere quei giovani così di valore, giovani che d’incanto, doipo la guerra, era o diventati il simbolo della rinascita. Circa 5-600 mila persone parteciparono in lacrime ai funerali, una ondata di passione e amore che accompagnò Valentino Mazzola e compagni nel loro ultimo viaggio. Una squadra di campioni, fatti in casa, cresciuti all’ombra della Mole a pane e pallone. Il meglio che il calcio italiano esprimeva in quegli anni. Da Valentino Mazzola, autentico fuoriclasse di una squadra di artisti del pallone. Maroso, Bagigalupo, Ossola, Menti, Loik, Gabello, Ballarin, perché ci piace ripetere quei nomi che ancora oggi hanno un posto importante nel cuore della gente, non solo granata. Perché il granata, era come una seconda pelle. Cinque scudetti di fila e da quella generazione di fenomeni, ne aveva tratto giovamento anche la Nazionale che aveva attiunto a mani bassa dalla rosa del Toro. Ricordi indelebili e brividi che salgono sulla schiena ogni qualvolta si inizia la salita che porta alla Basilica. Le foto, una per una una, di quei campionissimi che non solo hanno fatto la storia, ma che hanno saputo coniugare la parola amore con la passione per il football. Cose mai viste, perché il Toro era di tutti, ancor di più dopo quel tragico pomeriggio del 4 luglio. Erano le 16.58 quando il volo da Lisbona si schiantò su Superga. I loro nomi una leggenda, la loro storia da tramandare nei secoli. Perché quel Toro non morirà mai.