Max, Simone e i destini incrociati

Nella foto: Simone Inzaghi e Massimiliano Allegri (FOTO DI SALVATORE FORNELLI )

di Dario Ricci*

Davvero ironico, immaginarli oggi a panchine “invertite”. Chi? Ma come chi? Loro due, gli allenatori più discussi (tra quelli non ancora esonerati…) del nostro calcio, cioè Massimiliano Allegri e Simone Inzaghi, che onde maestose e venti di tempesta stanno provando a tenere almeno salde le mani sul timone di Juventus e Inter. E allora viene normale chiedersi – mentre li vediamo veleggiare con affanno, sporgendosi un poco dal promontorio dove è conficcata la bandierina del nostro calcio d’angolo – cosa ne sarebbe stato, oggi, dei nostri due condottieri se si fossero (in tempi poi non così remoti) seduti sulla panchina altrui, ai tempi in cui la Vecchia Signora cercava il sostituto del troppo presto giubilato andrea Pirlo, e la Beneamata voleva sostituire Antonio Conte con un altro top, senza neppure stavolta curarsi troppo dei suoi trascorsi juventini.

Di certo l’Allegri interista avrebbe beneficiato del solido scudo protettivo rappresentato da Beppe Marotta, che con Max ancor più che con “Inzaghino” ha un legame intenso e profondo, e un altrettanto stretta sintonia calcistica; pure vero che rimane senza risposta la domanda relativa a cosa sarebbe stato Inzaghi capace di fare nel suo primo anno torinese, in un club diventato improvvisamente bulimico e incapace di disegnare un percorso certo e stabile per ritrovare quel vertice del movimento (e della classifica…) pur detenuto per quasi un decennio.

Certo la Milano nerazzurra sembra aver accusato – come in un vero match di pugilato – a scoppio ritardato l’uppercut assestato dai cugini rossoneri nella volata-scudetto della scorsa stagione: pur oggettivamente riconosciuti tutti i meriti del Diavolo disegnato da Pioli (che si stanno allungando anche all’annata in corso, malgrado un numero sempre più inquietante di infortuni a lunga scadenza!) è rimasto, nel popolo ma forse anche nel club nerazzurro, il gusto aspro di un tricolore “perso” oltre le qualità altrui, e non solo per l’erroraccio di Radu (e Perisic…) a Bologna. Un sapore amaro che il ricordo dei due trofei strappati proprio alla Juventus allegriana (respinta poi con perdite nell’ultimo vano assalto alla diligenza-scudetto) non è bastato a cancellare o almeno mitigare. Una delusione cui si sono sommate le crepe di uno spogliatoio comunque scosso dalla lunga estate del mercato, e che probabilmente risente anche di una solidità societaria per ora ancorata piuttosto sul medio, che sul lungo termine, malgrado le rassicurazioni che arrivano dalla Cina. Pure vero che è nelle difficoltà che si vedono la determinazione e il temperamento, e in questa direzione Inzaghi deve riuscire a stupire in primis se stesso, e solo dopo critici e detrattori. In questo Allegri si è dimostrato navigatore più scafato, anche se gorghi perigliosi in cui inabissarsi finora non sono mancati neanche a lui, e non può essere la sola vittoria contro il sin troppo tenero bologna targato Thiago Motta ad aver fugato nubi e dubbi. 

A proposito: che ne sarebbe stato della caravella bianconera se il calendario – che pure sabato impone la severa trasferta di san Siro contro i campioni d’Italia pur fiaccati dai tanti guai fisici – avesse riproposto alla ripartenza non i felsinei, ma magari l’Atalanta, o l’Udinese che di questi tempi (e auguriamo a Sottil anche in quelli futuri…) va a mille? Domande oziose si dirà, mentre la realtà de campionato irrompe con tutta la sua concretezza, intervallata da una tre giorni di coppe che, soprattutto in Champions, già tanto dirà sui destini delle italiane, e sulla rotta che seguiranno Max e Simone (augurando loro ci siamo anche i loro equipaggi a seguirli, con abnegazione e convinzione).

*Giornalista di Radio24-Ilsole24Ore

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