La semina del Mancio

Nella foto: il Ct Roberto Mancini pensieroso (FOTO DI SALVATORE FORNELLI)

di Dario Ricci *

Semina, Roberto Mancini. Bruciato il raccolto mondiale, il ct ha ripreso in mano zappa e vanga, ha provato a dissodare il nuovo aspro terreno, e ha piantato nuovi bulbi, sperando fruttifichino, e pure presto. D’altra parte, per uno che nello stesso stadio, Wembley, ha vissuto la delusione più atroce (la finale di Champions persa col Barcellona) e l’estasi più sublime (il titolo di campione continentale con gli Azzurri a Euro2020), non deve essere certo una scoperta il farsene una ragione, capire che la vita e la carriera e tutto ciò che vi ruota intorno e dentro vanno avanti, e che tu sia un vincente o uno sconfitto, sempre e comune ricominciare, da qualche punto e qualche parte, bisogna.

E allora il Mancio, dopo il trauma mondiale della grottesca notte di Palermo contro la Macedonia del Nord, ha scelto di ricominciare appunto proprio da quello che sa e conosce meglio: il talento, e il suo fiuto nell’individuarlo. Lo richiede l’emergenza del momento, lo suggerisce la logica, lo impone quello sforzo di fantasia e creatività necessaria superare il fallimento, per trasformare (come dicono quelli bravi…) la crisi in opportunità.

Ecco: se a breve si vede più la prima che la seconda, sul medio termine proprio opportunità bisognerà creare, cercare, cogliere, sfruttare. Da qui il senso del maxi-raduno dei potenziali futuri ‘azzurrabili’ che ha preceduto a Coverciano l’arrivo dei ‘big’ in vista di questo giugno azzurro che è di fatto una ripartenza malinconica e ineluttabile. Esplora, Mancini, il sentiero intrapreso all’inizio del suo mandato, quando aveva convocato un Zaniolo (per intenderci…) prima del suo esordio con la maglia della Roma. Passaggio necessario ma anche quasi normale, per un ct che a Bologna aveva conosciuto la serie A (e grazie a Bearzot la stessa Nazionale) a non ancora 18 anni compiuti.

Pobega, Udogie, Miretti, Scalvini, Bellanova, Gnonto, Ricci, Gatti: questi alcuni dei nomi nuovi cui dovremo fare piacevolmente l’abitudine nei prossimi mesi, magari nelle prossime stagioni. L’obiettivo? Trovare volti (e piedi) nuovi, appunto; ma anche aumentare competitività interna, confronto, stimoli, per evitare che qualcuno nel gruppo azzurro possa sentirsi ‘arrivato’, al di là dei propri giusti meriti. Ed è poi inevitabile che un ct che dopo il ko verso Qatar2022 ha comunque deciso di rimanere sulla panchina azzurra, abbia lo sguardo proiettato sul lungo termine, verso i prossimi Europei in cui ci sarà un titolo da difendere, e la qualificazione per i Mondiali 2026 di Messico-Canada-Stati Uniti da conquistare.

Intanto il calendario gli viene in aiuto, al Mancio: quella del 1° giugno a Londra contro l’Argentina è partita estemporanea e nuova (‘The Finalissima’, una sorta di Coppa Intercontinentale Europa-Sud America per nazionali), ma tutt’altro che amichevole; poi ecco subito la Nations League con la Germania a Bologna, l’Ungheria a Cesena, la doppia trasferta contro tedeschi e inglesi. Insomma, ‘tempo per piangere no/non ce n’è’, canterebbe renato Zero. Anche se siamo sicuri che c’è una data e una partita in cui il dolore per il mancato viaggio in Qatar torneranno a farsi sentire più forte che in altre occasioni. Quale? Venerdi 23 settembre, San Siro, Italia-Inghilterra: per noi sarà (si spera) una partita-chiave per qualificarci alle Final Four di Nations League; per loro, un’amichevole di lusso sulla strada verso il Mondiale.     

*giornalista di Radio24-IlSole24Ore

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