Ionut Radu o il liscio che mandò il calcio nel pallone

Nella foto: la disperazione do Ionut Radu (foto Matteo Gribaudi/Image Sport)

di Dario Ricci *

Da Freud all’astrofisica, per passare poi al senso della vita, al sesso degli angeli e ritornare infine alla polemica tra ‘giochisti’ e ‘utilitaristi’, che già c’è costata un per po’ di pagine e di giga. Eppure si è trattato solo e semplicemente (sì, purtroppo per i tanti frequentatori dell’Ufficio Complicazioni Cose Facili, ‘semplicemente’) di un liscio, uno svarione, una papera, un errore. Così Ionut Radu entra nella storia del campionato e della volata scudetto dalla porta sbagliata, la sua, quella in cui ha lasciato entrare il pallone che è valso il 2 a 1 per il Bologna e – al momento – un pezzo di scudetto per l’Inter (senza trascurare il fatto che, senza il decisivo tocco di Sansone, saremmo stati per almeno un quarto d’ora in attesa del responso del Var, per capire se il portiere romeno abbia magari impercettibilmente sfiorato il pallone stesso o no, caso questo nel quale la rete sarebbe stata da annullare, visto che l’azione era direttamente nata dalla rimessa laterale di Perisic).

Si noti piuttosto che appena quattro minuti prima del misfatto (o, meglio, del ‘malfatto’) Radu gioca in buona sicurezza, ben oltre il limite della propria area di rigore, un pallone calciandolo prima proprio col sinistro in direzione laterale, per poi affidarsi al destro per rinviarlo più lontano, nella metà campo bolognese. Insomma, il piede incriminato (il sinistro, appunto), era ‘caldo’ ed efficiente; peculiari, piuttosto, le condizioni in cui Radu si trova a giocare il famigerato pallone decisivo, con un angolo di calcio davvero complesso per un destro naturale, la pressione di Sansone, e in testa il ‘chip’ che anima ormai i giocatori post-moderni, cioè (giustamente, per carità) giocare sempre la palla, il più possibile in modo consapevole e sensato, perché quando questo non avviene si crea comunque una situazione di possesso o al minimo di vantaggio per l’avversario (ammesso e non concesso, poi, che nella situazione specifica sarebbe stato più facile spedire quel pallone in angolo o in tribuna, visto appunto le condizioni proprie in cui l’azione si è sviluppata). 

Insomma al Dall’Ara, all’ 82esimo minuto, è andato in scena un calcistico ‘delitto perfetto’ che ha avuto in Radu la vittima designata, e al tempo stesso anche il colpevole; e crediamo sia magra consolazione per l’estremo difensore nerazzurro aver replicato, a distanza di pochi giorni, di fatto lo stesso errore compiuto in Perugia-Parma dal campione del mondo Gigi Buffon; fuorviante però attribuire questi errori specifici esclusivamente all’attitudine ‘giochista’ e alla smania della ‘costruzione dal basso’, che non di rado diventa pura mania (cose se non fosse cosa ormai risaputa da tutti che il tiki taka fatto dal Barcellona di Xavi e Iniesta e Messi, o il calcio totale dell’Ajax di Crujff o del Milan di Sacchi fossero modelli unici e non replicabili, Stradivari calcistici non riproducibili nel momento in cui venivano ad esserne sostituiti gli interpreti principali, ovvero quei calciatori). E allora, in attesa che il destino cinico e baro offra a Ionut Radu (si spera presto) l’occasione per rifarsi e dimenticare il ‘malfatto’ del Dall’Ara, val la pena ricordare il sugo di tutta la storia: che non di Storia dei massimi sistemi o pianeti o galassie solari e interstellari si tratta. Bensì dell’individuale e umanissima parabola di un portiere, e del tiro mancino (mancato) che il Fato e l’imperizia gli hanno riservato.

*giornalista di Radio24-IlSole24Ore

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