Alessandro Miele
Che la Premier League sia il campionato più ricco del mondo è notizia nota e risaputa. Che sia la realtà calcistica che più di altre rischia le maggiori perdite a causa del coronavirus è l’inevitabile conseguenza di quanto sopra indicato. Il campionato d’oltremanica (5,4 miliardi di euro di incassi, secondo le statistiche di inizio 2020) ha passato i giorni scorsi in mezzo alle polemiche sui tagli degli stipendi la cui media supera gli 1,8 milioni pro capite, ma sfora addirittura i 5, se si restringe la statistica alle prime cinque squadre in classifica. E dinanzi a quanto messo in atto nella nostra Serie A dalla Juventus (non retribuzione concordata con i propri calciatori e dipendenti delle mensilità di marzo, aprile, maggio e giugno), la Premier fa evidentemente fatica ad accodarsi. Per quanto i giocatori sarebbero in parte d’accordo, a porre un freno significativo è intervenuta direttamente la politica: ”Il taglio del 30% degli ingaggi dei calciatori della Premier toglierebbe circa 200 milioni di sterline (228.500 milioni di euro) di entrate fiscali al governo”. Oltre a ciò, occorre sottolineare il danno derivante dalla situazione coronavirus che, ad oggi, sarebbe enorme per l’intero assetto ‘Premier League’ come più volte sottolineato dall’amministratore delegato della stessa Premier, Richard Masters: “Il rischio è di perdere più di un miliardo di sterline. Il disastro sarebbe enorme e non coinvolgerebbe soltanto i club, ma anche l’indotto che ruota attorno all’industria del calcio, che dà lavoro a centinaia di migliaia di persone”.
A riprova di quanto stimato dalle alte cariche del campionato inglese, fa eco Javier Tebas, presidente del secondo campionato più ricco, la Liga spagnola (2,2 miliardi di euro di fatturato l’anno), il quale si addentra in pronostici analoghi: “Un miliardo di perdite, se non finiamo la stagione, 350 se la finiamo a porte chiuse, 150 se riusciamo a giocare a porte aperte“. L’industria del calcio è sempre tra i primi posti (in termini di introiti) dei vari paesi – tra cui il nostro – e, attorno ai campioni milionari ruotano migliaia di lavoratori i cui stipendi non raggiungono di certo cifre stratosferiche dei calciatori. Salvaguardare i grandi campionati significa salvaguardare l’intero sistema, in quanto gran parte delle serie minori (in cui il calcio ha finalità ludica da un lato, ma anche di reddito mensile per tanti giocatori) è obiettivo di notevole importanza in una situazione di crisi come quella attuale. L’augurio è che ogni singolo settore possa tornare presto alla normalità. E se “ripartire” racchiude in sé la speranza di farlo in un modo e in un mondo migliore, sicuramente quello del calcio è uno dei settori che più meriterebbe una rivalutazione di certi assetti che l’hanno reso sì una delle industrie più prolifiche, ma allo stesso tempo così dannatamente fragile.