Muore Astori, Francia mondiale, Modric Pallone d’Oro, Cr7 sbarca alla Juve

E’ stato l’anno dei Mondiali, quello vinto dalla Francia, ma senza l’Italia rimasta a casa. Ma è stato anche l’anno che ha messo fine al dominio di Leo Messi e Cristiano Ronaldo, con il Pallone d’Oro finito nelle mani della stella croata Luka Modric. Il 2018 che se ne va ci ha lasciato però tanti altri momenti, alcuni dolorosi come la morte del capitano della Fiorentina Davide Astori e la finale di Copa Libertadores con il ritorno giocato a Madrid dopo i gravi incidenti di Buenos Aires. Tra le altre immagini, l’addio di Gigi Buffon e Andres Iniesta, Cristiano Ronaldo che “smonta” la Juve in Champions per abbracciarla in estate: è stato l’affare del Secolo. Ed ancora la terza Champions consecutiva conquistata dal Real Madrid di Zinedine Zidane, la splendida galoppata della Roma che ha eliminato con un miracolo il Barcellona dalla corsa alla finale Champions, al sorriso del Cholo Simeone e del suo Atletico che hanno conquistato l’Europa League, l’esonero di Mourinho al Manchester United e il sogno Napoli legato al Sarrismo, mentre Roberto Mancini è il nuovo ct della Nazionale Italiana.

 

Francia Campione del Mondo

di Massimo Ciccognani

 

E’ stato un mondiale bellissimo, per intensità, emozioni e colori. Russia 2018 è stato un successo a cominciare dall’organizzazione. Un mondiale tra i più appassionanti e incerti. Il fallimento delle grandi consolidate e le piccole che hanno fatto e riscritto la storia. Lo ha vinto la Francia battendo in finale la Croazia al termine di una battaglia bellissima. Sotto il diluvio del Luzniki, Didier Deschamps, ct sempre precario con l’ombra del sostituto a volteggiare sulla sua testa. Invece Didier, scuola italiana, la vince con cuore, carattere e catenaccio restituendo al suo popolo la voglia di tornare in strada a festeggiare. Senza l’Italia, si inceppano pian piano le altre grandi. Germania, Spagna, Argentina e Brasile, franate per movimenti calcistici che andrebbero rivisitati. Neymar e Messi che si sciolgono come neve al sole, i panzer arrivati in Russia tra tante polemiche e tornati a casa ancora peggio. La Spagna che si fa male da sola mandando a casa Lopetegui a due giorni dal via col povero Hierro costretto a tappare le falle di una barca ormai alla deriva e Argentina senza gioco e idee, che lo stesso Messi non è riuscito a tenere a galla. Così come il Portogallo di Cristiano Ronaldo (tripletta all’esordio con la Spagna), uscito per mano dell’Uruguay del maestro Tabarez, ma che si è arreso davanti alla pochezza dei suoi compagni. Un addio mesto nel loro ultimo mondiale. Dimostrazione che nel calcio si vince di squadra, mai da soli. Alla fine ha vinto la squadra più forte, giovane ma con un bellissimo futuro davanti. Con tanti campioni da far crescere, con in testa quel Mbappé, campione del mondo a 19 anni, come lo fu Pelè. Roba da pochi eletti. Le sue accelerazioni, i suoi guizzi, i suoi lampi, sono il ricordo di un mondiale che agli occhi ha regalato altri campioni, collaudati e di spessore. La fantasia di Modric, il creativo Hazard, il geniale De Bruyne, che hanno illuminato la scena, tornati a casa a testa altissima. Come la giovane Inghilterra di Southgate: un cammino imperioso. Si è persa sul più bello, ma ha tutto per poter tornare a brillare di luce propria. E poi il Belgio di Martinez, bel gioco e tanta qualità in campo. Elogio particolare alla Russia che è arrivata ai quarti con grande tenacia e carattere. L’emblema di un Paese bellissimo, che ci ha accolti e guidati per l’intero mondiale. Merito di un Putin che avrà fatto pure propaganda, ma che ha dimostrato al mondo la bellezza della sua gente ospitale, di città affascinanti. Da Rostov a Ekaterinburg, da Kazan a Nizhni-Novgorod, da Samara a Kalinigrad, fino a San Pietroburgo. Evviva la Russia. Peccato mancasse l’Italia, ma non se ne è accorto nessuno. In Qatar cerchiamo di esserci prima che qualcuno si abitui a non vedere in tabellone il nostro nome.

Tragedia a Udine: muore Davide Astori

Quel tragico 4 marzo non verrà mai dimenticato dal mondo del calcio. In una stanza di hotel ad Udine, perde la vita Davide Astori a causa di una fibrillazione ventricolare da cardiomiopatia aritmogena che lo ha portato alla morte cardiaca improvvisa. Proprio in quel pomeriggio si sarebbe dovuta giocare Udinese-Fiorentina. Un addio struggente che ha lasciato un vuoto incolmabile. Davide era un uomo semplice, valoroso e corretto, un vero professionista. Un ragazzo dal sorriso stampato nel volto che trasmetteva serenità. Ha lasciato la compagna Francesca e la figlioletta Vittoria, la famiglia e tanti amici e colleghi che gli volevano bene.  La Fiorentina aveva individuato in Davide il capitano che, grazie alla sue doti, sarebbe potuto essere una sapiente guida per per i giovani. In un’intervista rilasciata al Corriere della Sera dalla mamma Anna insieme al papà Renato, si può capire perfettamente che Davide ha attinto i suoi valori dalla famiglia. Mamma Anna non cerca colpevoli perla morte del figlio, ma solo la verità. La signora Anna vuole solo che non accadano più fatti del genere,  affinché nessuna mamma debba più provare quello che ha passato lei. Un momento toccante e commuovente quando Renato racconta di un giorno in cui mentre si trovava in compagnia della sua nipotina Vittoria e stava sfogliando la Gazzetta dello Sport, ha visto  la foto del figlio che si abbracciava con Pasqual e in quel momento, Vittoria ha esclamato con spontaneità che quello era suo padre. Davide viene ogni volta ricordato dalla Fiorentina durante la partita quando, al 13’, parte il coro a lui dedicato. Un vuoto incolmabile come detto ma Davide Astori vivrà per sempre nel cuore dei suoi affetti. Addio anche a Radice. Ci lascia un altro grande del calcio italiano. Gigi Radice si è spento a 83 anni. Prima giocatore, 10 anni al Milan, con il quale vinse anche la Coppa campioni nel ’63. Allenatore per 30 anni fino al 1997. Ha allenato grandi squadre come Torino, Inter, Milan, Fiorentina, Roma, Bologna ed il suo nome è legato ad uno storico scudetto conquistato con il Torino nel 1976.

Ronaldo alla Juve, l’acquisto del Secolo

Il colpo di fulmine può dipendere da tanti fattori: sguardi, sorrisi ma anche da momenti magici. Il 3 aprile all’Allianz Stadium da una prodezza nacque la storia d’amore tra Cristiano Ronaldo e la Juventus. Durante il quarto di finale d’andata di Champions tra Juve e Real, al 64′ al culmine di un’azione avvolgente da parte dei blancos, Carvajal esegue un cross al bacio indirizzato al centro dell’area dove si compie la prodezza. Cristiano effettua una rovesciata formidabile tramite uno stacco imperioso al quale si aggiunge un tiro chirurgico e perfetto che trafigge Buffon. Gesto maestoso: il punto d’impatto tra piede e pallone è raggiunto a 2,37 metri da terra. Dopo la prodezza, scoccata la scintilla nel cuore dei tifosi bianconeri, un gesto fa breccia nel cuore di Ronaldo: una standing ovation degna di nota che omaggia la grandezza del campione. Ronaldo ringrazia e ammira l’ovazione. La meraviglia di Ronaldo è avvalorata da un dato: uno dei giocatori più forti di sempre segna in rovesciata a Buffon, uno dei portieri più forti di sempre. Scene da film. Sono gli applausi scroscianti per Ronaldo ad accendere la fiamma come riportato da Mendes a Marotta e Paratici. Lo step essenziale per il suo acquisto, avviene durante l’incontro sempre con Mendes per Cancelo. Infine per limare gli ultimi dettagli (105 milioni + 30 annuali al portoghese) , il blitz di Agnelli in Grecia il 10 luglio data che entrerà nella storia juventina. Alle 17,32 il Real annuncia il trasferimento. Alle 18,50 Ronaldo saluta il Real tramite una lettera. Il suo impatto strepitoso. Attualmente capocannoniere del nostro campionato. Con Ronaldo sognare ed ambire alla Champions non è solo consentito ma è obbligatorio.

Luka Modric Pallone d’Oro

di Massimo Ciccognani

Dopo dieci anni di dominio incontrastato, il Pallone d’Oro ha un altro inquilino. Si chiama Luka Modric, 33 anni croato. Era un ragazzino quando fu costretto a lasciare la sua casa in fiamme per fuggire alla guerra che stava devastando l’ex Jugoslavia. Un ragazzo semplice, dalla faccia pulita, che sognava di diventare un grande calciatore. Il calcio lo ha salvato: dalla Dinamo Zagabria al Tottenham poi il salto al Madrid dove ha cominciato a vincere tutto. Nell’ultimo anno ha messo in bacheca Champions League, Supercoppa Europea, Mondiale per Club e da capitano ha portato la sua Croazia alle porte del paradiso, alla finale mondiale persa contro la Francia. Un ragazzo semplice, non un gigante, appena 172 centimetri, un fisico esile ma dotato di una intelligenza straordinaria. La Fifa lo ha incoronato con il The Best, poi è arrivato il titolo di miglior giocatore di Spagna e la Uefa lo ha riconosciuto giocatore dell’anno.  E France Football con i suoi giurati, lo ha riconosciuto degno del Pallone d’Oro. Un sogno che s’avvera. Il suo ex compagno di squadra Cristiano Ronaldo alle sue spalle, terzo Antoine Griezmann, mentre Leo Messi è fuori dal podio. Un trionfo meritato per questo ragazzo che porta negli occhi gli orrori della guerra, un ragazzo bello, semplice, dalla faccia pulita, che ha saputo costruire la sua storia tra sudore e fatica perché la sua è una storia vera, di un bravo ragazzo, che sognava di diventare un grande calciatore. La sua è la vittoria dell’ostinazione, da quando ha visto morire il nonno vittima della guerra dei Balcani. Da Zara, dove era stato allestito un centro di accoglienza per sfollati, inizia a dare i primi calci al pallone. E si fa subito notare. A 16 anni entra a far parte della Dinamo, due anni dopo è già il miglior prodotto del calcio nazionale. Viene ceduto al Tottenham per 21 milioni, il più grande affare nella storia della Dinamo e per 30 viene preso dal Real. Il resto è storia recente, di trionfi che si celano dietro lavoro e sacrificio. L’extraterrestre Cristiano Ronaldo deve arrendersi dopo anni di dominio, al ragazzo che non sogna mai, che ama stare coi piedi per terra. Perché è nella normalità che ha costruito la sua storia vincente. Prendiamolo per esempio.

Buffon e Iniesta, addio e lacrime

di Massimo Ciccognani

Il 19 e 20 maggio, ci salutano due grandi interpreti del mondo calcio sull’asse Torino-Barcellona. A Torino  la Juventus ospita in casa l’Hellas Verona per chiudere la stagione del settimo scudetto di fila. Ed è pure l’ultima partita in bianconero per il capitano Gigi Buffon che lascia la Juve dopo 17 stagioni intrise di trionfi. Un saluto commovente, con tutto lo stadio ai piedi del capitano che al tempo stesso lascia anche la Nazionale per poi accettare poco dopo le lusinghe del Psg. Si trasferirà all’ombra delle Torre Eiffel per provare a chiudere con una esperienza europea la sua straordinaria storia di calcio, con all’occhiello quel titolo mondiale, conquistato con la nostra Nazionale a Berlino nel 2006. E il giorno dopo stessa storia al Camp Nou dove va in scena Barcellona-Real Sociedad. Il Barcellona è già campione di Spagna e il match è una passerella d’addio, tra lacrime ed emozioni per uno degli uomini più vittoriosi di Spagna. Don Andres Iniesta, che lascia il Barça dopo 16 stagioni, confortate da 674 presenze, 57 gol, 9 campionati, 4 Champions League. Altro che lacrime e commozione. Un monumento per il calcio blaugrana e per le Furie Rosse di Spagna, al quale è mancato solo il Pallone d’Oro. Peccato. Lo avrebbe meritato.

Zidane e il Real re d’Europa

di Massimo Ciccognani

Tu chiamale se vuoi, emozioni. E sono a tinte forti quelle che regala Zinedine Zidane, strappato in una notte di gennaio, dalla cantera per essere trapiantato alla guida del Real Madrid per prendere il posto del deludente Rafa Benitez. Accolto con scetticismo, disputa poco meno di tre stagioni sulla panchina del club più vittorioso al mondo, che sotto la sua guida vive un momento semplicemente straordinario, forse irripetibile. Conquista tre Champions League di fila, mai nessuno come lui, due mondiali per Club, due supercoppe Europee, un Liga e una Supercoppa di Spagna. Titoli che bastano e avanzano per dipingere quel signor nessuno, che con eleganza, pacatezza, ma anche grade senso tattico, ha permesso al Madrid di scollinare dopo un periodo di profondo appannamento. Zizou ha avuto il pregio di imparare lavorando, scoprendo giorno dopo giorno il mondo Madrid. Un personaggio straordinario, Zizou, che ha saputo rispettare la storia del grande Real, mettendoci tanto del suo, sotto l’aspetto tecnico, ma soprattutto caratteriale. Ha imparato a fare l’allenatore rubando il mestiere con gli occhi a un certo Carlo Ancelotti, del quale era il secondo nel 2014 ai tempi della Decima. Ha imparato soffrendo, non ascoltando le critiche che piovevano dall’alto. Si è fidato dei suoi uomini ne loro si sono fidati di lui. Come Ronaldo che ha tenuto fuori a lungo per preservarlo per il gran finale. Cristiano ha fatto spallucce, ma si è fidato e alla fine lo ha ringraziato per avergli regalato gli anni più belli della sua carriera. E poi quell’addio improvviso ma calcolato, dopo l’ennesimo trionfo a Kiev. Spazzato via il Liverpool, alzata al cielo ucraino la terza coppa dei campioni di fila. E’ entrato in punta di piedi in casa Real, ne è uscito con la stessa eleganza, scrivendo una storia bellissima, a pelo d’erba.

La rivincita del Cholo Simeone

di Daniele Orieti

Un personaggio carismatico, Diego Pablo Simeone, un innamorato del calcio che ama come se stesso. Il suo Atletico è sulla bocca di tutti per quel suo modo di fare calcio, spavaldo e che arriva negli anni a giocare due finali di Champions League sempre contro lo stesso avversario, il Real Madrid. E sono delusioni amare per il Cholo Simeone che le perde entrambe. A Lisbona come a Milano brilla la stessa madridista tra tanti rimpianti. A Lisbona l’Atletico viene raggiunto solo al minuto 93 per poi crollare ai supplementari, a Milano la lotteria dei rigori boccia ancora una volta la squadra operaia della Capitale. Ma il dio del pallone non dimentica e regala al Cholo e ai suoi colchoneros, una notte magica. Al Parco dei Principi di Parigi c’è la finale di Europa League contro il Marsiglia. E l’Atletico la stravince in una partita senza storia: finisce 3-0 con doppietta di Griezmann e l’ultimo gol, all’89 porta la firma del capitano Gabi che segna il suo primo gol in stagione proprio nella partita d’addio dopo 417 partite in rojiblanco. Ma la rivincita del Cholo è solo rimandata perché in estate, l’Atletico si impone a Tallin nella Supercoppa Europea, battendo il Madrid che intanto aveva perso sia Cristiano Ronaldo che il timoniere  Zinedine Zidane. Un trionfo che forse non cancella le amarezze del passato, ma restituisce dignità al popolo colchoneros.

Napoli scopre il “Sarrismo”

di Francesco Raiola

“La bellezza, senza dubbio non fa le rivoluzioni. Ma viene un giorno in cui le rivoluzioni hanno bisogno della bellezza” ( Albert Camus, L’uomo della rivolta). La grande bellezza e la grande illusione. La perfezione che sfiora il gioco del calcio, abbinata al risultato e all’armonia del gioco di squadra. Questo è stato il Napoli di Maurizio Sarri, che ha fatto innamorare il mondo, tant’è che la Treccani ha dovuto coniare un nuovo vocabolo da inserire nel dizionario 2019. Ma la rivoluzione della bellezza in Italia il palazzo l’ha solo sfiorato, o meglio espugnato a Torino con Koulibaly e perso la settimana successiva tra Milano e Firenze. Resta negli occhi dei milioni di tifosi, la consapevolezza di aver visto un calcio splendido, una macchina perfetta che ha incantato Napoli, l’Italia e l’Europa. Ora è in corso il tentativo di esportare il Sarrismo in Oltremanica, chiamato ora Sarriball, al Chelsea, ma la sensazione è che la scintilla magica che si viveva a Fuorigrotta difficilmente può ripetersi altrove.

Il miracolo Roma

di Massimo Ciccognani

Una Champions da sballo per la Roma. Inserita in un girone di ferro con Atletico Madrid, Chelsea e Qarabag, i giallorossi da vittima sacrificale diventano indelebili protagonisti. Vincono il girone e si portano dietro l’Atletico che accede agli ottavi come secondo, eliminando il Chelsea di Antonio Conte. Agli ottavi di finale la formazione di Eusebio Di Francesco elimina nel doppio turno lo Shakhtar Donetz (2-1 in Ucraina, 1-0 all’Olimpico grazie al gol di Edin Dzeko), ma il miracolo deve ancora venire perché il sorteggio dei quarti mette davanti ai giallorossi il fenomeno Barcellona. Finisce 4-1 al Camp Noi, con la Roma che pure avrebbe meritato qualcosa di più. Ma nel calcio contano i gol e al ritorno, per sperare di accedere alle semifinali, alla Roma ne servirebbero tre. Un miracolo quasi impossibile, che invece si materializza nella magica notte dell’Olimpico quando i giallorossi stendono i catalani campioni di Spagna e accreditati alla vittoria finale con un secco 3-0. La sblocca subito dopo sei minuti Dzeko, sempre decisivo in Coppa, raddoppia a inizio ripresa De Rossi su calcio di rigore. Ma ne serve ancora un altro per chudere il conto. E puntualmente arriva, a otto dalla fine grazie al colpo di testa di Kostas Manolas che manda i giallorossi in paradiso e il Barcellona all’inferno. In semifinale poi la Roma troverà la sua bestia nera, ovvero il Liverpool. Due grandi partite e per poco alla Roma non riesce un altro miracolo: 5-2 ad Anfield, 4-2 all’Olimpico con tante recriminazioni per un arbitraggio non propriamente felice, ma la stagione europea dei giallorossi è da incorniciare.

Mancini si prende l’Italia

di Francesco Raiola

Il 2018 è stato l’anno del Mancio, Ct della nazionale italiana. Dopo il breve interregno di Luigi Di Biagio che ha guidato gli azzurri nelle prime amichevoli dell’anno, l’ex allenatore di Inter e Manchester City è stato nominato CT azzurro il 14 maggio, con esordio vincente in amichevole il 28 maggio contro l’Arabia Saudita. Mancini ha subito impresso il suo nuovo corso alla Nazionale dopo i disastri ereditati da Ventura, ridando subito fiducia a Balotelli ( credito già esaurito), e lanciando messaggi ai club sull’importanza di credere ai giovani talenti. Emblematica la convocazione di Zaniolo, ancora non esordiente in A all’epoca della prima chiamata azzurra, e di Moise Kean, primo millennial. Luci ed ombre per Mancini nella Nations League, dietro al Portogallo nel girone, ma davanti alla Polonia, esprimendo un gioco a tratti spumeggiante, con un centrocampo giovane e tecnico, formato da Verratti, Jorginho e Barella. Prossimo obiettivo ,sollecitato anche dal nuovo presidente federale Giuseppe Gravina, la pronta qualificazione agli Europei del 2020, con l’Italia che punta all’esordio all’Olimpico. Girone non proibitivo, con Bosnia e Grecia a giocarsi la qualificazione con Mancini.

Settebello Juve. In Premier è l’anno del City

In Italia è ancora Juve: i bianconeri vincono il settimo titolo di fila, stavolta al fotofinish contro un Napoli che, come ha detto Sarri, si è arreso in albergo. La vittoria juventina in rimonta di San Siro con la longa manus arbitrale, ha smontato il cuore azzurro dopo un anno in rincorsa. Non sono bastati al Napoli 91 punti per trionfare. Terza la Roma, con un “buco” enorme a cavallo dell’anno, che l’hanno allontanata dalla zona vip. Torna in Champions l’Inter che sul filo di lana scavalca la Lazio vincendo nell’Olimpico biancoceleste, rimandando ad altra data i sogni della Inzaghi band. Ancora una delusione per il Milan. Come in Italia per Astori, indimenticata, la tragedia che ha colpito anche l’Inghilterra con la drammatica scomparsa di Vichaj, presidente del Leicester. Il 2018 sarà sempre l’anno di Manchester City e Liverpool, una campione d’Inghilterra esprimendo un calcio mai visto prima da quelle parti, l’altra straordinaria ad arrivare fino in finale di Champions col suo football aggressivo e metallaro voluto da Jurgen Klopp. Ha perso terribilmente Mourinho, cacciato dal Manchester United; l’Arsenal ha salutato Arsene Wenger, l’assoluto mentore biancorosso degli ultimi 22 anni di storia. In Spagna il solito Barca ha conquistato la Liga, trascinato dal solito inimitabile capocannoniere Messi. In Germania sarebbe troppo semplice tessere le lodi del Bayern, agli ultimi colpi della premiata ditta Robben&Ribery, ancora una volta Campione in carica grazie all’esperienza di Jupp Heynckes. È stato infatti soprattutto l’anno dei nuovi giovani del Dortmund di LeFavre, in testa alla Bundes 2018/19, così come quello della favola Tedesco, giovanissimo tecnico italiano arrivato secondo col suo Schalke. Sorridono loro, piange l’Amburgo, il grande sconfitto del 2018, retrocesso per la prima volta nella sua plurisecolare storia. Chiudendo in Francia, nonostante i cambi in panchina e le delusioni europee, anche il 2018 è stato l’anno del PSG, nella speranza che investimenti e dose di talenti straordinaria possano portare i loro frutti alla conquista della Coppa dalle grandi orecchie.

Libertadores tra violenza e calcio

 

Uno degli eventi che ricorderemo  del 2018, è la finale della coppa Libertadores tra River Plate e Boca Juniors e non solo perché è la rivalità calcistica più accesa al mondo. Purtroppo un ampio capitolo in questa sfida, è riservato agli scontri, alle morti e agli incidenti avvenuti. Il Superclasico, è una partita vissuta in modo viscerale dai tifosi spesso in modo estremo. Dopo il primo round alla Bombonera terminato 2-2, il Monumental attende scalpitante il ritorno. La follia inizia però a prendere il sopravvento. Il giorno della partita agli innumerevoli scontri, si unisce il lancio di sassi da parte di imbecilli sostenitori del River contro il bus che trasportava il Boca allo stadio. L’autista e alcuni giocatori del Boca tra cui Tevez riportano ferite, ma nonostante le pressioni la partita viene rinviata. Dopo giorni drammatici, tra violenza inaudita e una notevole quantità di sangue versata solo per una partita di calcio, arriva la decisione. Il ritorno si gioca il 9 dicembre nel tempio di Madrid: il Santiago Bernabéu. Vince il River 3-1 decisivo Quintero che firma splendidamente il gol del 2 a 1 e poi Martinez la chiude nel finale facendosi tutto il campo da solo e appoggiandola in rete. Era stata indicata come la partita del secolo ma purtroppo abbiamo raccontato di vicende estreme, pazzesche. Una rivalità il cui eccesso nel tempo ha causato feriti e morti andando ad intaccare inevitabilmente la magia e l’essenza del Superclasico.

Il fallimento di Josè Mourinho

di Paolo Dani

Altro che Special One. Il 2018 d’Oltremanica ha sancito l’addio di Jose Mourinho che allo United ha fallito in una stagione contrassegnata da profondi ed evidenti singhiozzi. Il portoghese ha pagato con il suo calcio troppo difensivista e poco incline ad un modello, quello britannico, dai ritmi intensi e sostenuti. Doveva essere l’anno del riscatto dopo l’esperienza al Chelsea, ed invece per Mourinho lo United si è rivelato un autentico boomerang. Risultati mai arrivati, con la conquista dell’Europa League due anni fa, che sa tanto di brodino e che in quel momento ha rappresentato il salvagente ad un precoce esonero. Che puntualmente è arrivato nel mezzo di questa stagione, complice un gioco che sa tanto di stantio, ma soprattutto la rottura con tutto l’ambiente. Ha rotto con la tifoseria, con la società, ma soprattutto con i suoi stessi calciatori, Pogba, Martial, tanto per citarne alcuni, allontanati dal progetto. Si chiude un ciclo e difficilmente ci sarà un’altra occasione di rivalsa in Premier. Futuro lontano, magari all’Inter dove hanno ancora negli occhi l’uomo del Triplete, o forse al Psg o magari al Bayern Monaco dove i calciatori vivono lo stesso rapporto conflittuale con l’attuale tecnico. Ma non più in Inghilterra, dove l’onta del tracollo contro il Liverpool, non è cancellabile e rimarrà in eterno una macchia nella carriera dell’ex Special One.