di Dario Ricci *
Coverciano, Tirana, Vienna. E’ questo il nostro Triangolo delle Bermude. Niente da fare, da qui al 18 dicembre non se ne uscirà, neanche a provarci con tutte le forze. L’ago della bussola emotiva del nostro calcio segnerà fisso la Stella Polare, cioè Doha, ma a Roberto Mancini e la sua ciurma nulla consentirà di uscire da questo maledetto triangolo, per trasformarsi in quello che il nostro ct sognava ad occhi aperti, cioè un manipolo di splendidi corsari capaci di spaventare prima, conquistare poi il Mondo, così come già era stato fatto con l’Europa, dimostrandosi persino migliori di quel sistema football tricolore che pure quella ciurma stessa ha prodotto e fatto crescere.
Niente da fare, invece. Del resto, l’enfasi del sogno mal si attaglia alla solida prosa che è l’architrave del Mancini uomo e calciatore; quasi anzi, il Mancio, sembrava più a disagio nei panni del trionfatore di Wembley invece che in quelli del tecnico che, mascella serrata e parole centellinate, sta impostando la ripartenza azzurra dopo “The Fall”, la caduta inattesa e dolente, sulla strada verso il Mondiale degli sceicchi (e quindi pure delle polemiche). Delusione che l’ex faro blucerchiato e stella della Lazio più vincente della storia non potrà mai dimenticare, ma sulla quale ha pure costruito una solida qualificazione alla fase finale della prossima Nations League, in un girone a dir poco difficile, contro Germania, Inghilterra e la sorprendente Ungheria.
Ecco, ad andare avanti con quel groppo in gola e quella mestizia nel cuore ci vuole coraggio, certo, ma anche perizia e competenza, nervi saldi, visione, strategia, insomma un progetto, idee, obiettivi ancor più solidi e profondi di quelli che pure il calendario presenta (quasi) a portata di mano, cioè i prossimi Europei di Germania 2024 e il Mondiale tripartito tra Messico, Canada e Stati Uniti di due anni dopo. E Mancini e il suo staff stanno dimostrando di averli, questi obiettivi, progetti e idee. Manco fosse un viticoltore eroico, il ct prova a esplorare di nuovo altri territori, altri spazi, partendo dai suggerimenti che sono arrivati da questo primo segmento liofilizzato di stagione, con 15 giornate di serie A e la fase a gironi delle coppe europee concentrate in appena tre mesi.
E allora, come dopo ogni crisi o flop o caduta, appunto, dai piccoli segnali di speranza bisogna pur ripartire, malgrado la malinconia e le tante assenze che pure segnano il gruppo azzurro in questo novembre calcisticamente che avevamo immaginato per noi totalmente diverso. Eccoli allora gli juventini Miretti e Fagioli (con quest’ultimo che sta confermando ora quelle attese che lo stesso Allegri aveva alimentato fin dall’ultimo anno del suo primo ciclo sulla panchina della Juventus); ecco pure la definitiva consacrazione di quel Vincenzo Grifo che col suo Friburgo sta stupendo la Bundesliga a suon di bel gioco e gol (ben 9 finora per l’azzurro di Germania); eccola la crescita esponenziale dell’interista Dimarco, dell’esterno della Salernitana Mazzocchi, degli empolesi Parisi e Vicario, del laziale Provedel (pur in calo in queste ultime due settimane), gli interessanti spezzoni di Premier League che il 19enne Gnonto si sta conquistando con la maglia del Leeds, per non dimenticare (impossibile farlo) il ritorno in azzurro di Nicolò Zaniolo, che proprio il Mancio lanciò in maglia azzurra ancor prima che trovasse spazio nella Roma, e che proprio con la Nazionale deve riannodare i fili di una storia d’amore ancora mai definitivamente sbocciata, causa infortuni e incomprensioni. E poi, come ci ha abituato ormai Mancini, lo sguardo in avanti, appunto, simboleggiato stavolta dalla convocazione del 16enne talentino dell’Udinese Simone Pafundi. Come se il Mancio voglia ancora indicare la rotta, pure stavolta l’unica possibile, per uscire dal Triangolo delle Bermude.
*giornalista di Radio24-IlSole24Ore