di Dario Ricci *
Persa l’Europa, e persa pure la faccia. Doveva essere la notte del riscatto e della rinascita, quella del Da Luz; ma le Aquile lusitane del Benfica hanno spolpato la (presunta) fenice bianconera, strappandole prima l’anima, poi i sogni, infine le illusioni. La Juventus è fuori dalla Champions, e allora – se la situazione non fosse calcisticamente drammatica, vista dall’angolo della Vecchia Signora – largo ai paradossi e alle ironie, e all’idea che in fondo i bianconeri la Champions (quasi) sempre sfuggita l’avevano già giubilata da tempo, almeno dall’epifania dello strampalato progetto della Superlega (strampalato si badi bene più per tempi e modi, che per motivazioni e logica).
Quel che sarà il futuro si vedrà, alla luce anche dell’inchiesta sulle plusvalenze che minaccia di scuotere le fondamenta dell’organigramma del club, che pure ha ribadito tramite i suoi rappresentanti legali di essere convinto di aver agito nel rispetto di leggi e normative. Quel che è certo è che l’uno-due incassato nel giro di 24 ore lascerà sicuramente il segno: e se i tempi legali brevissimi non sono mai, ma in questo caso neppure troppo dilazionati, la notte di Lisbona fa percepire una volta di più la consapevolezza che quella bianconera sarà con ogni probabilità – e forse nel migliore dei casi – una lenta agonia che rischia di trascinarsi sino a giugno.
Se a intuire che la stagione sarebbe stata irta di difficoltà eravamo stati (lo ammetto) in pochi sin dall’estate (guidati, noi pochi saggi profeti, dai tanti indizi negativi che insieme sommavano ben più di una prova), ancora meno erano quelli che avrebbero scommesso su tale pochezza di soluzioni tattiche, di energie nervose, di ambizioni individuali, che si sommano e si mescolano nella Juventus attuale. Aldilà del 4 a 3 finale, la notte di Lisbona lancia segnali inquietanti sulla continuazione di un’annata cui neppure il recupero – ormai nel 2023 – di Chiesa e Pogba potrà dare un senso, visto le premesse, i risultati, l’attitudine.
Viene allora da chiedersi fino a quando il club e Max Allegri saranno entrambi ostaggio di un contratto faraonico sottoscritto dal tecnico livornese ai tempi della rinnovata luna di miele in bianconero, ma che ad oggi appare sproporzionato per cifre e vincoli. E viene pure da interrogarsi su quanto lo spogliatoio possa essere impermeabile al potenziale terremoto giudiziario che potrebbe abbattersi sui vertici del club. Soluzioni? Difficile pure trovarne, ora, come si cercasse di ricucire una tela ormai logora e inconsistente. Di sicuro, dovrà al Juventus riprendere per la collottola un destino fino ad oggi (in questi ultimi due anni) a dir poco riottoso a piegarsi ai voleri della Vecchia Signora, e analizzare bene e senza infingimenti quanta parte di responsabilità è da ascriversi ora proprio al club e chi ne siede nella stanza dei bottoni; prima, però, urge un confronto immediato e schietto con tutte le componenti dell’area tecnica: impossibile che il bulimico mercato di quest’estate abbia avuto in allegri solo un silente osservatore; altrettanto inspiegabile come, con novembre ormai alle porte, ai bianconeri in campo non riescano neppure le più elementari combinazioni, i più scontati passaggi, le più istintivi e spontanei movimenti difensivi. Senza trascurare il fatto che le ormai stucchevoli e ripetitive (e più volte ripetute) giustificazioni del tecnico nei sempre più frequenti dopogara amari, suonano a vuoto perché davvero non sembrano cogliere gravità e profondità dei problemi in atto. Insomma, servono idee e uomini nuovi, in campo e fuori (e pure lungo le linee laterali vien da dire..): prima la Juventus avrà il coraggio di queste scelte radicali e non più rinviabili, prima potrà ricominciare a salire, una volta toccato – nella notte di Lisbona – il fondo.
*giornalista di Radio24-IlSole24Ore