Il Fideo, il Polpo e il coraggio ritrovato

Nella foto: l'esultanza di Angel Di Maria (foto Daniele Buffa/Image Sport)

di Dario Ricci* 

Un “sombrero” a un avversario che gli si era fatto sotto per rubargli il pallone in tackle; un colpo di tacco dietro alla schiena per uscire dal pressing di tre neroverdi e aprire sulla sinistra a Kostic, pronto per scattare lungo la fascia sinistra. Le giocate più belle di Angel Di Maria nella sua gara d’esordio nella nostra serie A (e che per circa un mese rimarrà, ahilui e ahiloro per i tifosi juventini, anche l’ultima, a causa del guaio muscolare all’adduttore destro che lo ha costretto a uscire dal campo prima del previsto) le ha effettuate….Mattia De Sciglio!!

Affermazione che – se vista come d’abitudine dalla bandierina del calcio d’angolo – appare solo in parte paradossale, teoretica e invero quasi surreale. Perché se è vero il detto manzoniano che se il coraggio uno non ce l’ha, non se lo può dare, è altrettanto vero che – almeno nel calcio, ma spesso anche nella vita – può pur sempre prenderlo in prestito (in quantità e modalità variabili di caso in caso) da chi riesce a indicargli la via da seguire.

Ecco perché la prestazione del Fideo e le giocate di De Sciglio sono strettamente collegate (sebbene i due si siano incrociati in campo per appena cinque minuti, tra il 16esimo e il 21esimo del secondo tempo, cioè tra l’ingresso in campo dell’esterno sinistro al posto di Alex Sandro e l’uscita dell’argentino, sostituito da Miretti): perché le giocate di Di Maria hanno evidenziato quella buona e sana dose di coraggio e sfrontatezza che la Juventus ha perso e dissipato in quantità industriale nelle ultime tre stagioni. Cos’altro sono, se non coraggio e sfrontatezza (ben diverse dall’aurea e austera arroganza calcistica di Cr7…) l’invocare la giocata su di sé, la rabona per lanciare in profondità un compagno, il gol con un sinistro al volo strozzato, certo, ma comunque provato, senza il timore che quel pallone potesse magari finire dritto dritto nel parcheggio retrostante la curva Scirea?

La prova dell’argentino – e la contemporanea assenza di Pogba – hanno fatto venire alla mente di alcuni frammenti della recente (poco più di un anno fa: e sembra già un secolo…) e vittoriosa avventura dell’Italia di Mancini a Euro2020. Di quel cammino trionfale Giorgio Chiellini sarà parte strutturale, essenziale, pur venendo costretto da un infortunio a partecipare sì alla gara inaugurale contro la Turchia, per uscire però dopo appena 24 minuti di gioco nella seconda sfida del girone, contro la Svizzera. Lo ritroveremo, il capitano azzurro, a partire dai quarti di finale contro Belgio, il primo passo di quella decisiva cavalcata trionfale.

Ebbene, controprove non ve ne sono, ma restiamo convinti, qui nei dintorni della bandierina, che se pure l’Europeo di Chiellini fosse finito contro gli elvetici, proprio in quella gara e poco più già disputata il capitano avesse già assolto le sue funzioni essenziali alla buona riuscita della spedizione: aveva, cioè, con la sua presenza, esperienza, fisicità, attitudine, la via da seguire. Un discorso che ben si attaglia, riteniamo, anche ai Di Maria e Pogba di oggi, e al rapporto che con questi giocatori – leader tecnici ancor più che emotivi dello spogliatoio – devono magari avere anche i compagni di squadra. Il Fideo e il Polpo indicano (ognuno a suo modo e pur con un numero di gare ancora troppo esiguo in maglia bianconera) una strada da seguire, fatta di tecnica, coraggio, sfrontatezza, consapevolezza di sé. Un sentiero stretto ma attraversabile in quest’unico modo, un sentiero che la Vecchia Signora ha smarrito e ora deve necessariamente ritrovare, seguendo le sue orme dei suoi nuovi (e seppur acciaccati) profeti.

*giornalista di Radio24 e del Gruppo24Ore 

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