di Dario Ricci *
Il 3 aprile 2018. Sì, se si deve scegliere una data per l’addio tra la Juventus e Paulo Dybala è di certo quella. E’ quello il giorno che cambia la storia recente bianconera (e chissà per quanto tempo ancora la influenzerà). A Torino arriva il Real Madrid per l’andata dei quarti di finale di Champions. Sappiamo tutti come va a finire: Ronaldo incanta con doppietta e fantarovesciata, strappa gli appalusi del pubblico torinese, che di lì a un anno lo abbraccerà come nuovo e più grande idolo. E Dybala, quella sera, che ruolo recita? Comparsa, per di più espulso al 66esimo, poco dopo la prodezza di CR7 e poco prima che Marcelo sigli lo 0 a 3. Una recita muta che fa il paio con la finale di Cardiff di pochi mesi prima, quando quello stesso Real mata la Juventus più spregiudicata e meno allegriana di sempre, quella delle cinque stelle (Mandzukic, Higuain, appunto Dybala, Dani Alves e Pjanic), travolta 1 a 4 dai blancos, dominatori nella ripresa dopo l’1 a 1 del primo tempo. A corollario (non banale) del ragionamento – che altro non è che una cronistoria tramite istantanee ben messe a fuoco – si noti infine che nell’ultima grande Juventus europea (cioè quella che l’11 aprile 2018 sfiora l’impresa proprio a Madrid contro il Real, accarezzando quella rimonta da favola sfumata solo per il penalty di CR7 in pieno recupero, sì quello del bidone al posto del cuore che segna anche la fine della carriera ad alto livello di Gigi Buffon), Dybala non c’è, proprio perché squalificato causa l’espulsione dell’andata. E’ quella, la Juventus dei Mandzukic, Matuidi e Khedira, che quasi stritola il Real targato Zinedine Zidane, fin troppo sicuro di aver già compiuto la propria missione.
Ovvio che di acqua sotto i ponti prima e dopo di quel giorno fatidico parecchia ne era passata, e un po’ anche dopo ne passerà, nel rapporto tra la Joya e la Vecchia Signora, ma vista dalla bandierina del calcio d’angolo davvero sembra quella la notte in cui tutto è diventato chiaro, limpido, consapevole. Che senso avrebbe avuto (ammesso ne abbia mai avuto uno tecnico, e non solo commerciale…) l’arrivo di Ronaldo in bianconero, se non quello di andare oltre e più avanti di quanto non fosse arrivata la Joya? Il provincialismo cultural-calcistico con cui è stata vissuta la parabola di Cristiano a Torino (mai la Juventus aveva delegato tanto di se stessa, intesa come leadership e anima, a uno e un solo calciatore, fosse pure stato Sivori o Platini) è figlio diretto e (il)legittimo di quel 3 aprile 2018 (che fa magari il paio con la notte amara, l’ennesima in Champions, di Cardiff), in cui solare era apparsa la differenza tra l’Imperatore del globo calcistico e uno dei suoi (presunti) eredi.
Di fronte a quella data, a quelle due notti magari, poco contano gli scudetti epigonali, l’annata d’oro di Paulo targata Sarri, le prodezze, gli infortuni (troppi, davvero), le polemiche, i litigi, gli abbracci, i gol senza peso (che con la Sampdoria e la Salernitana la Juve deve vincere sempre e comunque, e quindi c’è poco da esultare, dura lex sed lex…), gli sguardi torvi in tribuna, il Covid che ti toglie fiato e forze e logora le fibre, gli sguardi crudeli di chi ti vorrebbe almeno come Messi, e non sa apprezzare il fatto che tu sia almeno Dybala, e i procuratori che pure lo sanno che tu a quella maglia ci sei legato a doppio filo, ma che qui sconti non se ne fanno, che a 28 anni e dopo due estati che vogliono cederti a tutti i costi, adesso ce ne andiamo a parametro zero magari all’Inter.
Ecco appunto, l’Inter: cioè la rivale di sempre, che è di Marotta e fu di Conte, e che il 3 aprile arriva a Torino a giocarsi una conferma scudetto che se attorcigliata, avvitata, complicata, e che magari in gioco torna pure la Vecchia Signora, una delle più dimesse della storia, certo, ma la matematica mica è come il sole, che bacia i belli, quella in faccia manco ti guarda, pensa solo a far tornare i conti, quelli che adesso non tornano più a Simone Inzaghi.
E allora il 3 aprile Paulo che fa, che farà? E Allegri? Lo lancerà titolare nel tridente con Vlahovic e Morata? O magari a certo punto si girerà verso la panchina e lo chiamerà a scaldarsi, alla ricerca del colpo di classe, che quello Dybala ce l’ha nel sinistro pure se gioca zoppo. Oppure? Oppure niente, niente Dybala niente Joya, niente cori e niente striscioni, come non ci fosse mai stato Paulo Dybala, che magari il prossimo anno all’Allianz Stadium ci tornerà in nerazzurro, che tanto il calcio postmoderno è così, e lui non sarà il primo e neanche l’ultimo.
E allora, comunque vada a finire – anzi, comunque è già finita – forse l’ultima partita in bianconero di Paulo l’abbiamo già vista, e neanche lo sapevamo per davvero e fino in fondo. E da oggi comunque sarà un’altra Vecchia Signora. Senza dybala, senza più Joya.
*giornalista di Radio24-IlSole24Ore