Pioli, dopo gli applausi, ora serve un “titulo”

Nella foto: Stefano Pioli (FOTO DI SALVATORE FORNELLI)

di Dario Ricci *

Duttile, astuto, determinato. Il Milan che passa al “Maradona” – rimarginando la ferita infertagli dal Napoli all’andata a San Siro – ha messo in luce doti da vera “grande”, cioè da squadra pronta a fare il salto di qualità definitivo. Eh sì perché a rivederlo oggi, il cammino fatto dal Diavolo sotto la guida di Stefano Pioli, si resta quasi a bocca aperta: l’addio che sembrava cosa fatta, nel pieno della tempesta della pandemia, poi l’arrivo di Rangnick (che non avendo la bacchetta magica, di miracoli oggi non ne sta facendo sulla panca del Manchester United) scongiurato a furor di popolo (e soprattutto di risultati), la stima ottenuta da Gazidis, Maldini, dai giocatori a partire da Ibrahimovic, l’attenta gestione dell’addio a Donnarumma e un mercato fatto (ovvio insieme ai quadri societari) di intuizioni tecniche, la gran parte delle quali sta oggi pagando cospicui dividendi. Da applausi, quindi, il lavoro del tecnico parmense, se non per il fatto che ora è arrivato il tempo della mietitura, del raccolto: ribaltando logica e versi dell’Itaca di Kostantinos Kavafis, se impossibile sarà dimenticare il viaggio, ora e adesso è la meta quella che conta, l’approdo ultimo, il risultato, e fuor di metafore calciodangolesche, il titulo (come direbbe Mou), la coppa, il trofeo, l’alloro, il trionfo. Insomma serve vincere, adesso, sia anche solo la coppetta Italia (anche se chiaro che il diavolo vuole tornare a infilzare col forcone e pure con la coda il tricolore), perché nello sport la vittoria è destino che si compie, perfetta sovrapposizione tra immaginazione e realtà, volontà e desiderio.

Il gancio d’incontro che ha invece incassato Luciano Spalletti nella notte del “Maradona” è di quelli che fan tremare mascella, nervi, certezze, sogni: l’ha buttata sul fisico, il Diavolo, ha allagato le risaie del centrocampo, soffocato respiri e negato spazi; in poche parole ha saputo essere diverso da se stesso, cosa che al Napoli ancora non sempre riesce, come se quel sublime palleggio dei suoi tanti e raffinati interpreti potesse avere un malefico potere auto-incantatorio, stordire e intorpidire i suoi stessi interpreti.  Si badi però: troppo poco la pur dolorosa e amara notte del “Maradona” per giubilare una speranza; o meglio, troppo poco per mettere in discussione un progetto cui anzi ora è il momento di dare la massima fiducia e continuità, per consolidare il tanto di buono finora fatto (e in situazioni spesso critiche).

In odor di Champions (in particolare di quella che di più vale) tornano le romane: la Lupa che piega l’Atalanta, già matata a Bergamo; la Lazio che normalizza il non banale Cagliai di questi tempi, prima di piangere la scomparsa del capitano dello scudetto del ’74, Pino Wilson. Al netto della catastrofica trasferta di Coppa Italia col Milan, e della per molti aspetti sfortunata eliminazione dall’Europa League da parte del Porto, Sarri comincia a farsi capire (e forse a capire lui pure) i suoi, che lo stanno ripagando con un calcio che potrebbe pure diventare cifra stilistica, marchio di fabbrica. Convinti, come siamo, che di qualità calcistica in squadra ce ne sia a sufficienza, e che il filotto positivo non sia solo l’effetto di un calendario che ora al Comandante ha regalato (per lui, finalmente) una sola e solo una partita a settimana. 

*giornalista di Radio24-IlSole24Ore 

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