Il “miracolo” Sassuolo e i “miraggi” pallonari

Nella foto: l'esultanza di Scamacca e Raspadori (foto Image Sport)

Dario Ricci *

Vincere in trasferta sui campi di Juventus, Milan e Inter: miracolo certo non è, quello del Sassuolo di Alessio Dionisi, ma certo il suo mini-Triplete ha comunque del miracoloso, per l’impatto sul campionato e la conseguente eco che ne deriva. Boato accentuato dal fatto che quello neroverde (Scamacca-Raspadori-Berardi) potrebbe essere il tridente con cui andremo fra poco più di un mese a caccia di un biglietto per Qatar2022 attraverso le forche caudine dei playoff mondiali.

Vista dall’angolo, la parabola degli emiliani si sviluppa con felice e sorprendente continuità da ormai una decina d’anni, dall’intensa esperienza di Eusebio di Francesco, fino a quella del tecnico che ha riportato in serie A l’Empoli prima di migrare in Emilia, attraverso la molto stimata traiettoria disegnata da De Zerbi, a sua volta partito poi verso quello Shakhtar Donetsk figlio di uno dei football più floridi dell’Est Europa, e che speriamo ora non venga travolto dagli echi di una guerra sempre più difficile da scongiurare.

Ora, in un torneo quanto mai equilibrato come la serie A di quest’anno, il Sassuolo si è ritagliato l’invidiabile ruolo di “ammazza-grandi” (visto anche il pari imposto al Napoli e la sconfitta di misura a Bergamo con l’Atalanta), ma nell’osservare gli splendidi dettagli del torneo dei “Mapei-Boys”, non va dimenticato il contesto generale e la cornice in cui questi risultati si sono incastonati, e il cammino che Dionisi sta facendo compiere ai suoi ragazzi.  

Sì ragazzi, perché a precisa domanda nel per lui dolce dopopartita di San Siro, il tecnico ha chiaramente indicato in Domenico Berardi l’unico vero fuoriclasse (e ne sia conferma, oltre al prezioso contributo dato nella conquista di Euro2020 da parte degli azzurri, il canto melodico che settimanalmente spira da quello Stradivari che è il suo sinistro) di un gruppo che invece deve continuare con misura e passo ben ponderato il suo processo di crescita. 

Quasi banale ricordarlo, si dirà. Ebbene, da qui, dall’altezza della bandierina, preferiamo scegliere la ridondanza piuttosto che unirci al coro di elogi, memori di quanto avvenuto appena due autunni fa proprio all'”altro” Sassuolo, quello di De Zerbi, protagonista di una partenza sprint di campionato che in una manciata di giornate ne fece – agli occhi di gran parte della critica – una nuova Olanda Anni ’70 proiettata a contendere lo scudetto alle big. 

Cosa che regolarmente non avvenne, per una serie di motivi altrettanto banali, come lo è il fatto stesso di ricordarli: profondità della rosa e, soprattutto, mancanza di quella solidità mentale che è il vero tratto distintivo del campione e della squadra di alto livello. Come dire che la continuità di prestazione e risultati fa la vera differenza, tanto da rendere roboanti – ad esempio – i tonfi di un’Inter fino a questo punto pressoché perfetta, e che alla sfida coi neroverdi a San Siro era arriva con 24 punti di vantaggio. Insomma fa bene Dionisi per primo a indossare gli occhiali da sole, e a invitare tutti a indossarli, per non restare abbagliati da un sole tanto scintillante quanto pericolosamente effimero nei suoi riflessi. All’ombra dei riflettori, invece, il sassuolo continua con pudore e concretezza a costruire le sue vittorie e i suoi talenti, ed entrambi devono aiutare tutti noi a evitare ‘miraggi’ pallonari, spesso parenti stretti di miti e supereroi destinati a sgonfiarsi nell’arco di una stagione o poco più (o, più spesso, pure meno). 

*giornalista di Radio24-IlSole24Ore

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