Lo sguardo del Mancio e i paradossi della serie A

Nella foto: Roberto Mancini (Foto Gino Mancini)

*di Dario Ricci

Parabole paradossali, quelle che disegnano i calci d’angolo che spiovono al centro area del nostro calcio, in questi tempi. Basti pensare che – come se disegnate in spazi non euclidee – due rette parallele andranno a incontrarsi non all’infinito, ma già sabato e in uno spazio fisico ben definito, l’Allianz Stadium di Torino. Da un lato quella che definisce lo schizofrenico rapporto tra la Vecchia Signora e la Champions, a oggi il traguardo più vicino (gli ottavi di finale eh, cosa avevate capito?), o meglio meno sfuggente, per il magmatico gruppo ancora (non) assemblato da Max Allegri. Cioè quella coppa che la Juventus insegue da sempre, vince di rado e che in teoria neppure vorrebbe giocare, vista la perdurante fascinazione Superleghista. L’altra retta che confluirà sabato all’interno di quello stadio è di color viola: paradosso del gol, in questo caso, o meglio dei gol, quelli che Dusan Vlahovic segna in abbondanza, e che pure infila nella propria valigia con la stressa facilità con cui li infila nella porta avversaria. Sì perché il serbo è centravanti col bagaglio in mano per eccellenza, visto l’orizzonte limitato che sembra avere, ad oggi, la sua esperienza a Firenze. L’enigma da sciogliere, per patron Commisso, sarà quello se cederlo subito a gennaio – capitalizzando almeno in parte una valutazione minima di almeno 60 milioni, ma privando Italiano del suo miglior stoccatore – o magari a giugno, col rischio però di vedere notevolmente ridotto il potenziale introito, causa mancato rinnovo (almeno finora…) del contratto in scadenza nel 2023. Ultimo parabolico paradosso: sulle tracce del bomber serbo – tra i tanti pretendenti – anche quella stessa Juventus che nel pieno di una delle peggiori crisi della sua storia, di uno stoccatore risolutivo e totale come Vlahovic avrebbe in questo momento bisogno come l’aria (e i nostalgici di CR7 possono a questo punto intonare i loro peana).

Vista dall’altezza della bandierina, la crisi juventina lascia negli occhi la sorprendente – o meglio, appunto, paradossale – sensazione che qualsiasi squadra della serie A abbia un’idea di gioco, tranne proprio i bianconeri. Ovvio così non è (o non può o non deve essere), ma certo il lavoro di Allegri finora ha prodotto troppo poco non solo in termini di risultati, ma soprattutto di idee. E dire che proprio da questo corner ne avevamo celebrato lo spirito green di grande riciclatore e recuperatore di giocatori mai pienamente compiuti nella loro militanza bianconera. Ebbene, aspetto solo parziale del compito che spetta al tecnico, ad oggi fin troppo legato a un’idea di Juventus che fu, ma che difficilmente potrà più essere, se non su basi societarie e tecniche (e quindi di sua stretta competenza) diverse. Se infatti i principi restano, gli uomini evolvono, e con loro spesso anche le loro stesse idee: si vedano ad esempio Spalletti e Pioli, due che di fiele ne hanno masticato prima di degustare le prelibatezze che essi stessi stanno apparecchiando alla tavola di Napoli e Milan (a proposito: appuntamento il 19 dicembre a San Siro per questo sugoso revival della sfida che infiammò il calcio italiano tra la fine degli Anni Ottanta e l’inizio dei Novanta). Intanto varrà la pena accomodarsi in poltrona per godersi il derby della Madonnina di domenica prossima, decisivo per tutti ma per l’Inter un po’ di più, visto il ritmo folle imposto al campionato dal Diavolo e dai partenopei, che quasi ha tagliato fuori dai giochi i campioni d’Italia cui pure Simone Inzaghi ha dato identità e linee di gioco chiare ed evidenti, capitalizzando in campo il lavoro dietro le quinte del grande tessitore Marotta.

Settimana questa che osserverà con grande attenzione e un filo di apprensione anche Roberto Mancini: la sfida decisiva  sulla direttrice che porta in modo immediato e lineare ai Mondiali di Qatar 2022, quella di venerdi 12 novembre all’Olimpico contro al Svizzera, è ormai alle porte, e per portare a casa vittoria e qualificazione serve l’Italia migliore, e forse anche qualcosa in più, visto che la Nations League ci ha ricordato come fra noi e i meglio del continente europeo ci siano stati, nell’estate magica culminata nel sogno realizzato di Wembley, poco più di due rigori di differenza. Margine sufficiente, si dirà, per costruirci sopra enfatiche e ridondanti celebrazioni; esiguo, invero, per trasformare una momentanea superiorità tecnico-tattica in durevole predominio. Insomma, bisogna lavorare sodo, mettere nel ripostiglio fanfare e allori, e confidare anche nello stellone (sotto forma di infortuni da evitare come la peste):  gli ultimi gol di Immobile e Belotti fanno ben sperare, molto meno invece gli infortuni di Verratti e Lorenzo Pellegrini, e perché no, anche di quel Mattia destro che alla causa azzurra potrebbe in quest’anno e mezzo tornare – a sorpresa – a fare parecchio comodo.

*giornalista di Radio24-IlSole24Ore