I quattro assi (di un colore solo) di Infantino al tavolo del calcio globale

Nella foto: i numeri uno di Fifa e Uefa, Infantino e Ceferin (foto Matteo Gribaudi/Image Sport)

*di Dario Ricci

Li mette sul tavolo subito a inizio anno, i suoi quattro assi di un colore solo, Gianni Infantino. Proprio all’inizio di un 2022 che si annuncia cruciale per il calcio globale, tra il (si spera) superamento della pandemia e l’approdo ai Mondiali del Qatar. Sì perché il numero uno della Fifa la sua idea di calcio del futuro – o meglio, del presente prossimo – ce l’ha eccome, anzi l’ha sempre avuta, magari fin da quando era il gran ciambellaio di Le Roi Platini all’Uefa. Poi, travolta e sommersa dagli scandali l’era del francese e di Blatter (e, come sempre accade, insieme all’acqua sporca è stato via buttato via pure il bambino…), Infantino ha cominciato a tessere la sua tela, il suo programma, il suo disegno. Giusto così, perché questo deve fare un grande dirigente sportivo. Ma nessuno si sorprenda se la matrice di questo progetto sia comunque e sempre quel vil denaro che è stato obiettivo e combustibile del fallito (per ora) progetto Superlega, o che anima le varie Leghe sperimentali (ma già ben effettive) per nazionali e club dell’Uefa. Insomma, il motore primo e l’ultimo fine è sempre quello, il soldo; cambiano però le casse di destinazione, e non è cambiamento da poco. E al dollaro s’affianca l’altra grande chimera dei nostri tempi (o, per meglio dire, di sempre e da sempre): il consenso, e il parallelo cambiamento di rapporti di forza rispetto all’esse storico euro-sudamericano, del football mondiale.

Mondiale è proprio l’aggettivo sostantivato che è il cuore della proposta di Infantino. Ogni due anni, si deve fare, la fase finale del Mondiale; e allora – perché no? Provoca il dominus della Fifa – non fare anche gli Europei ogni due anni? Le sue parole non lasciano dubbi su strategia, obiettivi, modalità: “Innanzitutto, tengo a precisare che il Mondiale ogni due anni non è una proposta mia – sottolinea scaltramente Infantino, non meno abile dello stesso Blatter a fiutare e indirizzare le atmosfere dominanti nel congresso Fifa -. L’88% del congresso, tra cui la maggioranza dei paesi europei, ha votato a favore di fare uno studio sulla fattibilità del mondiale ogni due anni. Abbiamo fatto uno studio molto serio, che fa vedere che dal punto di vista sportivo il mondiale ogni due anni funzionerebbe: ci sarebbero meno partite di nazionali, ma più partite con maggiore impatto a livello emotivo, e anche gli Europei potrebbero avere cadenza biennale”

Poi, ecco la stoccata (che il ct azzurro Mancini avrà accolto con ampi riti apotropaici, immaginiamo…) alle grandi storiche del calcio globalizzato, a partire proprio dall’Italia (visto che il presidente Fifa parlava ai microfoni di RadioRai): “L’Italia partecipa molto spesso al Mondiale, e l’impatto che questa competizione ha per un paese è importantissimo da un punto di vista sportivo. Molti paesi del mondo però non hanno questa fortuna, perché solo 32 partecipano. Quando fu deciso, cent’anni fa, che il Mondiale si sarebbe dovuto giocare ogni quattro anni, c’erano solo quaranta paesi che giocavano a calcio nel mondo, in Europa e Sudamerica. Oggi ce ne sono più di duecento: bisogna tenere di conto di questa situazione. L’impatto economico, poi, sarebbe positivo per tutti: sia per quelli che hanno di più che per quelli che hanno di meno”.

Inevitabile la rotta di collisione con Uefa, confederazione sudamericana (e non a caso è allo studio un progetto che inglobi le big del Sud America nella Nations League europea), grandi leghe del Vecchio Continente. Interlocutori cui Infantino manda questo messaggio: “Questo progetto è a protezione dei campionati nazionali perché ci sarebbero meno soste, e anche a protezione dei calciatori, perché per loro ci sarebbe una pausa a luglio di almeno tre settimane per poter recuperare dopo il mondiale. Cosa che ora non c’è. Per fare il numero di partite che la Lega calcio italiana organizza in un anno, la FIFA ci mette trent’anni. Non credo che un Mondiale e un Europeo ogni due anni possa cambiare qualcosa. L’importante è trovare la quadra tra far viaggiare meno i giocatori, tutelare la loro salute e far crescere il calcio mondiale”. 

Peccato, val la pena notare, che da questa interlocuzione sia stato finora escluso il Cio, cioè il Comitato Olimpico Internazionale, che pure organizza eventi diciamo non banali come le Olimpiadi. Ma sulla vetta dell’Olimpio la parabola di Giove sembra in deciso declino, di fronte al dominante e rampante Pallonio. In quest’ottica – e col rispetto dovuto alla memoria di uno dei più grandi simboli dello sport azzurro – sembra rientrare (o meglio: vista dal calcio d’angolo, mi sento di far rientrare…) anche la presa di posizione di Infantino in merito all’intitolazione a Paolo Rossi dello stadio Olimpico di Roma (che ha già da tempo molti sostenitori, e nella minoranza dei detrattori i tifosi di Roma e Lazio e tutti coloro che, albi e almanacchi alla mano, fanno sommessamente notare che quell’impianto glorioso, con l’altrettanto gloriosa storia di Pablito, tutto sommato ben poco c’azzecca, non essendo neppure quella la casa unica e inamovibile della nostra Nazionale): “Non esiste essere contrari a Paolo Rossi – fa notare il numero uno della Fifa -. Tutti gli italiani devono sostenere quest’idea e questo progetto di titolare lo Stadio Olimpico a Paolo Rossi. Nessuno come Pablito ha veramente avuto un impatto positivo su tutta una generazione di italiani in Italia e all’estero. Con la sua semplicità ha dimostrato che l’impossibile può diventare possibile: io nel mondiale dell’82 avevo dodici anni ma me lo ricordo benissimo e posso dire che dopo quel mondiale la gente ha iniziato a guardare tutti gli italiani all’estero, di cui facevo parte, in un modo diverso. Questo spirito di rivincita – aggiunge Infantino – la rivalsa e il successo, pur essendo normali e col sorriso, ha fatto sì che per tutta una generazione ci sia stato un impatto incredibile. Quindi per me, intitolare a Paolo Rossi lo stadio principale d’Italia, lo Stadio Olimpico di Roma, è qualcosa che va fatto in fretta. Mi complimento con il Parlamento, con il Governo e con chiunque debba farlo. Credo sia importantissimo che i giovani ricordino Paolo Rossi e sapere la sua storia e cosa ha fatto per noi”.

Argomento scivoloso e in fin dei conti collaterale (si discuta dei modi, ma la memoria di Rossi e di quell’estate di Spagna ‘82 è fortunatamente già sempiterna) che lasciamo volentieri a chi ha maggiore e più forte voce in capitolo, ricordando però – per onestà intellettuale –  che da altri spalti e frequenze sostenemmo la proposta per cui a Pablito avremmo invece volentieri intitolato il titolo di capocannoniere di serie A, attualmente ancora condannato all’anonimato, mentre proprio a Rossi la Lega di serie B ha dedicato il suo trono dei bomber A noi, a guardarlo dall’angolo, l’Olimpico di Roma sembra però ancora oggi la miglior casa possibile di quell’immaginifica Olimpiade del 1960 per cui nacque, l’unica estiva (finora) ospitata dal nostro Paese, e pantheon ideale per i suoi eroi.

*giornalista di Radio24-IlSole24Ore

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