Leonardo Tardioli
Parma-Milan è una partita che oltre all’importanza attuale per il prosieguo della stagione racchiude anche un pizzico di storia del calcio anni’90 con sfide tra due grandi formazioni. Sandro Melli, ex attaccante di quel periodo, ha vestito entrambe le maglie e partendo dal match di sabato 8 novembre ci racconta anche parte della sua carriera.
Come si aspetta Parma-Milan?
“Mi auguro che sia una bella partita, mi auguro che il Parma abbia la forza, l’orgoglio e lo spirito per poterla giocare con coraggio. Non sarà facile perché il pronostico pende tutto dalla parte della squadra di Allegri. Il calcio è bello perché si parte da 0-0 e niente è scontato. Per esempio lo scorso anno, quando il Parma sembrava messo malissimo e aveva un calendario difficile, ha fatto punti con Inter, Juve, Lazio, Atalanta e meno con squadre della sua portata. Questo fa capire che nel calcio non si parte mai da sconfitti”.
Tra le big con cui il Parma ha fatto punti lo scorso anno c’è anche il Milan che è stato battuto alla 2^ giornata.
“Ricordo bene quella partita perché è stata la prima che sono andato a vedere l’anno scorso. Fù una partita spettacolare, il Parma giocò molto bene. C’erano Pecchia e Fonseca e le due squadre erano molto diverse, pertanto non farei paragoni con quel Parma ma più con quello che invece ha pareggiato con Inter e Napoli e battuto la Juve. Quello era un Parma che assomiglia più a questo qua. Sono abbastanza fiducioso che possa essere una buona partita e possa giocarsela. Di la ci sono dei campioni e Leao se è in giornata diventa difficile da fermare”.
Possiamo considerare quanto detto i due punti di forza delle squadre?
“Sicuramente il Leao di quest’anno sembrerebbe che un valore aggiunto per la squadra di Allegri. Il Parma non ha trovato ancora una sua identità ben precisa. È partito abbastanza bene giocando anche delle buone partite, ultimamente sta portando a casa pochi punti e sta giocando più in maniera conservativa. Credo che debba continuare a giocare in maniera accorta ma con un po’ di coraggio in più che al momento manca alla squadra di Cuesta”.
Cuesta è un allenatore che imposta bene le partite a livello di equilibrio.
“Credo che il calcio sia fatto di attacco e difesa e bisogna trovare l’equilibrio tra difendersi bene e proporre. Ad oggi il Parma sembrerebbe una squadra che sa difendersi ma che fa ancora un po’ fatica a proporre. Dunque c’è da capire quanto ci vorrà e se riuscirà a trovare un po’ più di coraggio mantenendo solido l’aspetto difensivo. Non è facile, le squadre di calcio devono essere equilibrate in tutte e due le fasi”.
Secondo lei perché il Parma non ha ancora trovato maggiore concretezza offensiva?
“Ci sono vari motivi. Sono una squadra nuova che ha un allenatore nuovo. Poi c’è qualche infortunio che soprattutto nel reparto offensivo ha creato delle difficoltà, perché Ondrejika ad esempio è un giocatore che lo scorso anno ha fatto molto bene. Valeri che è un esterno bravo anche a spingere si è fatto male anche lui, Oristanio anche è fuori e queste cose qua hanno creato nel reparto offensivo un grosso deficit e questo ha influito sul fatto che il Parma abbia fatto solo cinque gol. Ci sono problematiche, c’è da lavorare, non è tutta colpa degli infortunati ma comunque è un’attenuante”.
Parlando sempre di attaccanti quanto perde il Milan senza Gimenez?
“È un giocatore che faccio ancora fatica ad inquadrare. Nel senso che mi da l’impressione di avere qualità e forza poi però fa sempre un po’ fatica a risultare decisivo. Il giocatore che può mancare di più al Milan potrebbe essere Pulisic perché insieme a Leao è più determinante”.
Vede delle similitudini con Parma e Milan degli anni ‘90 in cui ha militato?
“È un calcio completamente cambiato dove ci sono tante differenze in ambito tattico e di sviluppo di gioco. Diventa difficile fare paragoni a distanza di 30 anni. Erano due squadre proprio diverse e quelle probabilmente più forti, il Milan era quella più forte degli ultimi 35 anni, mentre il Parma aveva molto coraggio perché al primo anno di Serie A se la giocava a viso aperto”.
Quel Parma ha vinto trofei dopo pochi anni dall’arrivo in A.
“Si, il primo anno siamo andati in Coppa Uefa, il secondo abbiamo vinto la Coppa Italia, il terzo abbiamo vinto la Coppa delle Coppe e il quarto anno abbiamo perso la stessa finale e quello successivo abbiamo vinto la Coppa Uefa. Abbiamo fatto un’escalation che nella storia del calcio non credo sia mai esistita, di sicuro non in Serie A. Per una neo-promossa è stato un percorso più unico che raro”.
Di chi sono i meriti di quel percorso?
“Una cosa importantissima che spesso viene dimenticata è che una squadra diventa vincente se c’è una proprietà importante. Significa mettere delle persone giuste nei posti giusti e in quel Parma c’era una società di alto livello, come il Milan di quegli anni. Dietro tutte le squadre che hanno avuto successo ci sono grandi proprietà. I giocatori sono una conseguenza”.
Anche Sacchi ha espresso spesso questi concetti sull’importanza di una società.
“È tutta una catena che parte dal presidente, passa dall’allenatore e arriva ai giocatori. Una società importante fa scelte di un certo tipo, perché sono competenti e sanno gestire allenatore e giocatori. Noi eravamo un gruppo giovane che magari un’altra proprietà avrebbe dato via, invece avevamo una società che credeva in noi, ha scelto il tecnico giusto e siamo andati avanti ottenendo tutto quello che abbiamo ottenuto. È come se fossero le fondamenta di una casa. Si può fare anche il tetto più bello del mondo ma senza l’altro aspetto crolla giù”.
A proposito di Sacchi, l’ha fatta esordire che lei era ancora giovane.
“Mi ha fatto esordire quando avevo 16 anni quando eravamo in C e mi ha fatto giocare anche una partita molto importante per andare in Serie B. Feci anche gol e fù un’emozione immensa e a Sacchi dirò sempre grazie perché poi mi ha fatto esordire proprio in B e in nazionale. È un allenatore che mi ha insegnato tanto. Era particolare per certi aspetti ma vedeva lontano rispetto agli altri”.
Ci fa una panoramica anche degli altri allenatori avuti come Scala, Capello e Ancelotti?
“Sono tre grandissimi allenatori con caratteri completamente diversi. Anche qui dipende in quale periodo della loro carriera li trovi. Posso dire che ho trovato in Scala un padre con cui ho anche discusso, però l’ho sempre considerato così. Capello l’ho trovato competente come pochi a livello di conoscenze e dinamica del gioco e con un carattere abbastanza deciso. Mi piaceva anche se non ho lavorato molto con lui. E poi ho trovato Ancelotti e anche con lui ho discusso. Era un tecnico giovane che aveva bisogno di fare esperienza e l’ha fatta nel migliore dei modi. Quello visto a Parma era completamente diverso da quello che poi ho visto crescere come allenatore e ha dimostrato di essere una persona intelligente che ha imparato anche dai suoi errori e trovo che sia una delle qualità più importanti che deve avere una persona”.
Come avvenne il suo passaggio al Milan?
“Andai al Milan via Sampdoria in uno scambio con Gullit fra blucerchiati e rossoneri che avvenne nel mercato di riparazione di novembre, nonostante non volessi perché avevo scelto la Samp per essere uno dei protagonisti della stagione. Gullit voleva tornare a Genova e Capello mi ha fatto inserire nello scambio. Sono andato sapendo che non ero pronto per una piazza importante come quella e credevo che avevo ancora bisogno di maturare un paio d’anni in provincia. Mi è pesato mentalmente e ho fatto fatica a metabolizzarla. Mi è dispiaciuto perché ero molto affezionato alla Samp, sono decisioni non tue che vanno prese nonostante tu non sia d’accordo”.
Al Milan poi giocarono un ruolo importante gli infortuni.
“Sono arrivato che ero già mezzo infortunato e quando sono guarito mi sono rotto la caviglia. È stata una stagione un po’ sfortunata a livello fisico e nonostante questo a fine anno facemmo una tourneè dove feci bene e Capello mi disse che avrebbe chiesto alla società di comprarmi (era in prestito ndr). Il Parma chiese una cifra alta e non trovarono l’accordo. Mi sorprese perché dopo una stagione non proprio eccellente Capello volle acquistarmi. Significa che credeva in me, forse più di quanto ci credessi io”.
Perchè dice così?
“È una questione di personalità, di mentalità, di un modo di andare in campo e non aver paura di giocare in uno stadio dove ci sono 80mila persone. Io non ce l’avevo ancora e non è una cosa che hanno tutti. Prendiamo come esempio Gattuso che ha giocato a San Siro per tanti anni. Ha avuto la mentalità e la forza di farlo. Ho visto giocatori con grandi qualità che invece non ci sono riusciti”.
Restando su di lei, prima del Milan aveva comunque giocato in grandi stadi come Wembley dove segnò nella finale di Coppa delle Coppe. Un po’ di personalità e abitudine a giocare su campi importanti l’aveva.
“Sono d’accordo ma ce l’avevo nella mia comfort zone, in un contesto dove sapevo di essere amato e dove se sbagliavo non cambiava niente. Ero cresciuto li facendo tutto il settore giovanile nella mia città, allo stadio c’erano i miei amici. È diverso dal giocare a San Siro in una piazza con una storia importante con la maglia numero 9 usata da Van Basten per esempio. Cambia molto, un conto è stare nella prima realtà, un altro rimettersi in gioco a livelli alti”.
Ricordi dei due gol nelle finali di Coppa Italia e Coppa delle Coppe?
“Sono ricordi belli. Quando si entra nel tabellino delle partite importanti si è sempre ricordati e ogni volta che c’è la ricorrenza di quegli eventi c’è il tuo nome. Questo amplifica l’orgoglio verso me stesso e la gioia verso la gente che ti dice che quel giorno l’hai fatta impazzire. Sono cose emozionanti, più belle col tempo che sul momento”.
Per cosa Sandro Melli pensa di essere ricordato oggi?
“La cosa che mi fa più piacere è che dovunque sono stato amato e mi sono comportato bene. Non ho mai avuto fischi dai tifosi, nemmeno da quelli avversari. L’altra cosa che mi fa piacere è che chiunque mi vede o mi scrive sui social, mi dice che sapevo giocare bene a calcio. Non ho mai trovato una persona che mi abbia detto il contrario”.






