Salvatore Savino *
Pur se con la abituale compagnia dell’apprensione e della sofferenza, anche il viaggio in terra salentina si è concluso come si desiderava, con la vittoria e la relativa conquista dei tre punti, bottino fondamentale in questa campagna di maggio, in questi ultimi quattro confronti che l’ammiraglio Conte, sulla prua della nave a guidare la sua ciurma, deve affrontare per rientrare da trionfatore nel porto di Napoli, atteso da folle plaudenti. Chi conosce il calcio sa che nessuna partita può essere considerata facile, nessun avversario può essere sottovalutato: non lasciatevi ingannare da chi, subdolamente, cercherà, ancor più nelle tre gare che restano da disputare, di farvi credere che non saranno delle battaglie, ma solo dei piacevoli giri in barca, delle gite con annesso bagnetto ristoratore a Nerano o a Capri. Vuole ingannarvi: sarebbero i primi a saltare di gioia se il Napoli dovesse avere problemi di navigazione, sarebbero i primi a dire o scrivere che la squadra azzurra non era pronta per vincere, che la città, come al solito, si era nutrita di sogni e false speranze. Quelli più accaniti, in un attimo tornerebbero a tirar fuori il mancato mercato di gennaio, e altre amenità del genere, magari con il sottile e nemmeno tanto nascosto desiderio di mettere zizzania, e di sperare che si rompa il rapporto tra Conte e il Napoli. Amici dal cuore azzurro, mi appello alla vostra intelligenza e al vostro amore per la nostra maglia: non date retta a costoro, a chi non vede l’ora di vederci perdere la gioia di un altro sogno tricolore. Sono quelli che, se dovessero essere costretti dagli eventi a farlo, fingeranno poi empatia, si proclameranno, se non tifosi, quantomeno simpatizzanti del Napoli, diranno che Napoli e San Gennaro hanno fatto un altro miracolo, e poi sole, pizze e mandolino per tutti. No, stavolta il giochino non funziona più. Napoli, pur con le sue millenarie problematiche, sta risorgendo, sta ricordando di essere stata sovrana e guida per secoli, culla di storia, di arte e di cultura, e, per quel che riguarda il calcio, mi spiace per tutti quelli che non lo ricordano, il più grande di ogni tempo e di ogni luogo è stato e resterà, adottato per amore, un figlio di Napoli. Chiarito questo punto, torniamo all’iniziale discorso dell’apprensione e della sofferenza: chi come me ha sulle spalle qualche decennio di vita azzurra, ha una certezza intoccabile e radicata nel nostro codice genetico di tifosi del Napoli, ed è la sofferenza. C’è poco da fare, amici miei, il vero tifoso del Napoli adda suffrì. Noi siamo abituati a non aver mai avuto vita facile, persino quando c’era Diego a guidare la nostra squadra, abbiamo dovuto vivere sempre con quella strana preoccupazione che a volte hanno i bambini, quella di temere che, all’ultimo istante, potesse arrivare il ragazzino più grande e prepotente a rubarci il giocattolo dalle mani, e lasciarci in lacrime proprio quando stavamo per vincere. I più giovani rammenteranno, ad esempio, la sofferenza patita poche settimane dopo aver vissuto la gioia dello stacco imperioso di Koulibaly a Torino, o le lacrime di rabbia della finale di Supercoppa a Pechino. Quelli come me, dal crin canuto, come canta il Nabuccodonosor di verdiana memoria, ricorderanno anche il gol di core ‘ngrato Altafini, che distrusse il sogno dei napoletani giusto 50 anni fa, il 6 aprile del 1975. Era il Napoli di Vinicio, di Totonno Iuliano, Peppeniello Massa, del Gringo Clerici. E poi ancora, nell’aprile del 1981, il Napoli di Marchesi e dell’immenso Rudy Krol affrontava da primo in classifica, a tre giornate dalla fine, il Perugia fanalino di coda, senza più nessuna speranza: un autogol di Moreno Ferrario dopo pochi secondi di gioco, aprì al più grande assedio che io ricordi su un campo di calcio: pali, miracoli di Malizia, il portiere dei Grifoni umbri, calci d’angolo in quantità, ma nulla, non se ne venne più a capo, ed il sogno scudetto si infranse. Due piccoli esempi per farvi comprendere amici azzurri, perché non dobbiamo credere a chi vuol farci abbassare la guardia, a chi dice che l’Inter ormai penserà alla Champions, che il Genoa, per altro compagine “amica”, verrà a Napoli in gita di piacere. Non credete a chi dice questo: sarà, quella col Genoa, una gara dura e difficile, che bisogna preparare al meglio, con attenzione maniacale, e su questo Conte è una garanzia. Ci proveranno in tutti i modi a toglierci il giocattolo dalle mani, non temete: ci parleranno del rinnovo di Conte, vi diranno, con la stessa sicurezza, che resterà e che se n’è già andato via, vi parleranno di nuovi acquisti e di cessioni eccellenti. Qualcuno magari più coraggioso, si spingerà a dire come si dovrà festeggiare, se con l’autobus scoperto o con i fuochi a mare. Diffidate da questi argomenti: stiamo compatti e chiusi, come in una corazza impenetrabile che ci contiene tutti insieme. Per noi deve esistere solo e soltanto la partita col Genoa, e niente altro. Conte la sta preparando con meticolosa attenzione, valutando i disponibili, i recuperabili, i sistemi di gioco e gli schemi su calcio piazzato. Noi tifosi dobbiamo solo essere compatti, vicini alla squadra e spingerla, per gettare il cuore oltre l’ostacolo, senza pensare a nulla che non sia tifare, cantare a squarciagola, essere un tutt’uno con i ragazzi in campo. Non è il tempo delle parole, dei discorsi futuristici, delle promesse. Ora si deve solo vincere. Provate a sognare insieme a me: una bella giornata di sole del mese di maggio, immaginiamoci tutti abbracciati, ebbri di gioia, vedere avvicinarsi il titolo, e cantargli: ” Core, Core… Core mio, turnato io so’… Torna maggio e torna ammore.. Fa’ de me chello che vvuo’…” Forza Napoli Sempre
*Scrittore, tifoso Napoli