Massimo Ciccognani
Una vita pane e pallone. Quella di Nello De Nicola, 80 anni, una vita dedicata al calcio, dal Frosinone al Latina, dal settore giovanile della Juventus all’Avezzano. Poi Ascoli, Ternana, Torres, Cagliari e Ancona in ordine sparso. L’amicizia, vera, con Luciano Moggi, ed una carriera iniziata quasi per caso.
“Ricordo – dice De Nicola – che ero nei Roma Club, nel 1976. Il presidente Anzalone decise di cambiare il ds e prese Moggi. Lui era già affermato, mi disse che dovevo lasciare stare il lavoro con i tifosi e cercare giovani. Portai alcuni ragazzi, il più importante Angelo Di Livio e da quel momento Luciano ha creduto nelle mie scelte e da quel momento è cambiata la mia vita calcistica”.
De Nicola sfoglia l’album dei ricordi, con l’orgoglio di chi sa di aver fatto sempre le cose per bene. “Nel mio percorso sportivo ritengo sia stato tutto bello, dall’inizio quando andai a fare il responsabile del settore giovanile alla Lazio con Roberto Clagluna. La mia carriera è stata bella, perché abbiamo avuto la fortuna di andare a Latina e vincemmo il campionato di C2, poi a Frosinone, Avezzano, altri successi, come aver portato squadre come la Roma e la Juve nella Marsica e ad Avezzano la soddisfazione più bella fu quella di portare a giocare l’Under 21 Azzurra contro l’Inghilterra allo Stadio dei Marsi”.
Una bacheca di trofei, ben 18 campionati vinti, ma De Nicola vola basso, con umiltà. “Quei 18 campionati, non li ho vinti io, ma tutto il gruppo, calciatori, allenatori, le società e soprattutto il merito è dei presidenti che mi hanno permesso di operare nella maniera giusta. Poi la fortuna ti aiuta e vinci come è capitato a me”.
Nello De Nicola è sempre stato un’aziendalista, e mai una società sotto la sua gestione è fallita. “Credo di essere stato fortunato, in quanto ho trovato calciatori che si sono dimostrati bravi e dalle loro cessioni ho ricavato utili per la società, come ad Avezzano, sette anni importanti. Poi mi chiamarono a Sassari dove c’erano cinque miliardi di debiti. Dopo tre anni la società era tornata in attivo. Passai poi al Cagliari e con Cellino ebbi un’esperienza bellissima perché lo ritengo un presidente capace e lo ho dimostrato nel corso della sua carriera”.
Tanti i calciatori scoperti e lanciati. “Ce ne sono talmente tanti, ma non me ne voglio vantare. Cito solo Pancaro, Manfredini, Del Grosso, Langella, Amoruso, ma ce ne sono talmente tanti e questo mi inorgoglisce”.
Il calcio di oggi non lo attira più, come il ruolo che ha rivestito per una vita, quello del ds. “Sono fuori da tempo, e oggi non trovo la soddisfazione per poter operare perché i presidenti sono più affascinati da un procuratore, senza togliere nulla loro, ma il procuratore fa gli interessi del suo assistito, mentre il direttore, come ho fatto io e tanti altri, fa gli interessi del club per il quale opera. La capacità di un direttore è far operare bene la società, e fare in modo che alla fine dell’anno ci siano le risorse per investire in futuro”.
Nessuno gli ha mai imposto nulla, e chi ci ha provato…. “Non lo ricordo e semmai ci fosse stato avrei dato le dimissioni come successo ad Ascoli quando il presidente Benigni in corso d’opera mi confermò direttore, ma il mercato lo aveva messo nelle mani di un procuratore. Non ero d’accordo e denunciai il tutto il federazione e furono squalificati tutti e due”.
Un’amicizia fuori dal coro con il numero uno del mercato, Luciano Moggi. “Parliamo di due amici veri, sinceri e devo dire grazie a Luciano perché quando gli ho chiesto qualche giovane da valorizzare, mi ha sempre appoggiato, come quando mi diedi due giovani rampanti come Pancaro e Manfredini, uno del Torino, l’altro della Juve, scesi a giocare in C. Personalmente ritengo Luciano il migliore in assoluto come dirigente perché ovunque è andato, ha sempre portato utili. Mai per caso”.
Poi, è arrivata Calciopoli. “Hanno discusso tanto la Juventus, ma basta ricordare che l’Italia del 2006 campione del mondo, era piena di bianconeri, mancavano solo tre calciatori che però non era italiani, ovvero Ibrahimovic, Nedved ed Emerson, senza dimenticare che ce ne erano quattro nella Francia vice campione del Mondo. In quel periodo avevamo giocatori validi, eravamo all’apice, con campioni veri. Oggi si fa fatica, troppa”.
Oggi, a distanza di anni, si diletta con i nipoti e a dare una mano a qualche amico. “Faccio il nonno professionista, perché ho sei nipoti. Poi mi ha chiamato un mio ex giocatore, Arnaldo De Cresce, che mi ha chiesto di andare a dargli una mano al Monte d’Oro e mi sto divertendo con dei giovani bravi e appassionati. Magari, con un impianto adeguato sarebbe bello tornare ad insegnare calcio”.
La parola d’ordine è sempre la stessa, il calcio è di chi lo ama. “Il calcio si fa per passione, qualsiasi bambino inizia sempre per divertimento, poi c’è chi, prendo ad esempio Dybala, Pellegrini, Lukaku, hanno iniziato per divertimento. Poi madre natura li ha donati di qualità tecniche e sono arrivati al calcio professionistico, però il calcio è amore, fatto da chi lo ama anche se si comincia in tanti e pochi diventano campioni”.
Eppure, scorrendo l’album dei ricordi, qualche rimpianto è rimasto. “Certo che sì, ed è Calciopoli. Se non fosse successo, ci potevamo togliere tante soddisfazioni. Nasco e rimango tifoso della Roma, ma credo che quello alla Juve sia stato il momento più bello e ricco di soddisfazioni della mia carriera”.
Una passione infinita, che non svilirà mai. Come quella di Nello De Nicola, cinquant’anni di calcio ad alto livello, tra gioie ed emozioni a pelo d’erba, unite da un unico comun denominatore, la passione.