Ricostruire un sogno

Salvatore Savino *

I sogni muoiono all’alba recita un vecchio film italiano del 1961: Renzo Montagnani ed una splendida Lea Massari, nei panni di una partigiana ungherese e di un giornalista italiano innamorato di lei, scendono per le strade di Budapest, con le poche armi che possono trovare, a cercare di fermare i carri armati sovietici che stanno invadendo l’Ungheria. Sognavano di riuscire in un’impresa impossibile: affrontare un nemico troppo più forte, aggrappandosi solo al loro stesso sogno, ma si sa, come sostiene GianMaria Volonté (Ramon), rivolto a Clint Eastwood (Joe) nel celeberrimo  “Per un pugno di dollari”: – Quando un uomo con la pistola incontra un uomo col fucile, quello con la pistola è un uomo morto -. Strano dover pensare che su queste frasi non abbia ragionato chi di cinema vive da generazioni, e con favolosi risultati. Devo purtroppo, con delusione, riscontrare che a Napoli la storia non riesce ad essere maestra di vita, che dalle esperienze infelici non si cerca mai di ricavare suggerimenti per il futuro. Lo scorso anno, quando, al momento dei sorteggi per i quarti di Champions, venne estratto il Milan, stampa, TV e social, scrissero e dissero che non poteva esserci avversario più comodo, quasi già si guardava oltre, profetizzando una semifinale ancora più agevole, tanto che qualche napoletano, in vena di ottimismo esasperato, cominciò a prenotare un soggiorno sul Bosforo per il 10 giugno.

Esattamente come allora, quando a Nyon, poco prima di Natale, la mano dell’ex capitano del Chelsea, Terry, tirò fuori l’accoppiamento con il Barcellona, subito partirono cori entusiasti: e non è il Barça di una volta, è una squadra in crisi, l’allenatore già ha detto che andrà via, hanno tante assenze, e così via. Invece, il Napoli? Stagione cominciata nel modo peggiore: scelta nefasta del tecnico post scudetto, nonostante un casting da kolossal hollywoodiano, tentativo di risollevare le sorti della stagione affidato ad un tecnico ormai fermo da tempo, e che tutti i moduli aveva scelto in carriera, meno forse che il 4-3-3 di cui gli azzurri erano ormai impregnati,  esonero con affettuosi ringraziamenti anche per lui, e terzo allenatore di stagione, che però va condiviso con la nazionale Slovacca, di cui è peraltro ottimo commissario tecnico, per cui, a giorni, in piena bagarre per cercare almeno, e dico almeno per un minimo di dignità, di raggiungere il quarto posto utile per la prossima Champions, Mister Calzona e quasi tutto lo staff, dovranno volare all’estero, per guidare il gruppo gestito in campo dal nostro Lobotka. Il tutto condito da un mercato estivo che ha visto, caso forse unico nella storia, anche il direttore sportivo scelto dopo aver preso il tecnico. Un po’ come se si fossero acquistati prima i migliori tagli di chianina, e poi si fossero affidati ad uno chef vegano. Agli addii di riconosciuti  campioni quali Kim e Lozano, la società ha risposto con i giovani di belle speranze (per ora ancora rimaste tali) Natan e Cajuste, oltre al più noto Lindstrom, pagato tanto, ma oggetto misterioso per tutti e tre i tecnici finora avvicendatisi sulla panchina azzurra. Nel mercato cosiddetto di riparazione poi, a gennaio, forse neanche qui le esperienze sono state maestre: via Elmas, Zerbin, Gaetano, Zanoli, e dentro Dendonker, fuori dal campo di gioco da mesi, Traore, ottimo calciatore ma reduce da infortuni e malaria, Ngonge, di prospettiva, ma anche lui infortunatosi dopo qualche giorno, e Mazzocchi, passato in poche ore da titolare a sinistra a ultima scelta a destra. Aggiungo anche che, dopo mesi di vado, resto, penso, ripenso, Zielinski non è stato iscritto in lista, avendo scelto di andare via, e il quadro così è completo.

Ora, se queste erano le basi e le situazioni, perdonatemi, ma su cosa si appoggiavano le considerazioni per le quali il Barcellona sarebbe stato semplice da eliminare?  Su questo dipinto, già a tinte fosche, si sono aggiunte poi, nelle ore immediatamente precedenti alla gara, le esternazioni di ADL con i media, le interviste interrotte a metà, le reazioni davanti alle telecamere di tutto il mondo, che di certo non hanno contribuito né a rassegnare l’ambiente, né a dare maggiore disponibilità verso il Club azzurro. Puntualmente, come in un film già visto, per rimanere nella metafora cinematografica, espulsione evidente contro i blaugrana non comminata dall’arbitro, rigore solare non concesso su Osimhen, fallo di Traore che non c’era, da cui ha origine il gol spagnolo, e varie ed eventuali, come nei verbali di condominio che ormai si conoscono a memoria. Dal punto di vista del gioco in campo, il Napoli non ha neanche demeritato eccessivamente: dopo un inizio scioccante, con il doppio vantaggio catalano, ha macinato gioco, ha condotto le danze, ha segnato, era in partita, ma le gare le vincono i campioni, e, mentre quelli azzurri erano con le polveri bagnate, con Kvara risvegliatosi negli ultimi 15 minuti e  Osimhen nemmeno in quelli, annullato per 90 minuti da Pau Cuparsì, nato nel gennaio 2007, cui la società blaugrana sta per chiudere un contratto con rescissoria monstre, quelli catalani, come ad esempio Lamine Jamaal (luglio 2007), che invece la rescissoria ce l’ha già, e vale un miliardo di euro, hanno giocato da campioni, sfruttando al meglio spazi ed occasioni. Comunque sia, anche la Champions se ne è andata, dopo lo scudetto e la Coppa Italia: ci sono tutte le carte in regola per definire la stagione azzurra un fallimento sportivo. C’è però ancora una sola, sottile speranza, per dare dignità e valore ad una maglia che, ancora per pochi mesi, ha lo scudetto sul petto, ed è conquistare il quarto posto per la prossima Champions League. Ora è un obbligo: morale nei confronti dei tifosi, e pratico per i conti societari. Questo per quanto riguarda quest’anno, ma deve essere solo l’inizio di un cammino di rinascita, che forse, ma “del senno di poi sono piene le fosse”,  faceva dire il Manzoni a  Don Abbondio nei Promessi Sposi, andava fatto, ma con programmazione ed accuratezza, subito dopo la conquista dello scudetto.

Occorre aria nuova, occorre una organizzazione societaria non più “personale”,  ma con un organigramma ben chiaro, con ruoli evidenti, ciascuno con le proprie mansioni e le proprie responsabilità: un direttore tecnico che gestisca il suo settore di competenza in autonomia, dovendo riportare alla Presidenza le proposte, le scelte, le decisioni, per ottenere l’approvazione e l’avallo economico. Occorre che si scelga un tecnico preparato, ma che sia anche bravo a gestire un ambiente caldo e passionale, talvolta problematico e difficile, e deve essere lasciato libero di agire, in piena autonomia, senza rischiare ingerenze di alcun tipo dai vertici societari. Occorre una figura istituzionale, che si occupi di gestire i rapporti con i media e le istituzioni calcistiche, un uomo di campo, possibilmente dal riconosciuto carisma, in grado di esportare e difendere il nome del Napoli in ogni contesto ( Hamsik?). Occorre che si concertino subito, con le figure tecniche di cui sopra, le scelte di mercato: quelle improbabili o sicure uscite sono visibili a tutti, e  non  vorremmo che, in entrata, si riproponessero le trattative da sfinimento che, a volte, hanno portato a scelte lontane da quelle iniziali. Se si va al mercato, e ci si intrattiene a discutere di prezzi e qualità per troppo tempo, le prime scelte le prendono gli altri, e ci si deve accontentare di quel che resta sugli scaffali. Occorre anche che, un presidente del valore indiscusso come il nostro, che non parla mai senza avere un giusto motivo, si ricordi di essere anche un esempio per i giovani, per chi vorrebbe fare impresa e raggiungere i suoi livelli di vertice internazionale, si ricordi che tanti gli devono il ringraziamento per aver riportato lo scudetto a questo popolo sempre vessato e vilipeso, ma, proprio per questo, si aspettano da lui che incarni i valori veri della cultura napoletana: l’ingegno, l’ arguzia, la furbizia, ma anche la cultura, il galateo, la raffinatezza e l’eleganza tipiche dei gentiluomini partenopei, valori di cui peraltro Il nostro è riconosciuto portatore.  Un anno meno splendido di altri può capitare, di qualunque ambito lavorativo si tratti, ma chi ha dimostrato, con i fatti, di poter confrontarsi contro poteri ben più forti, contro capitali ben più sostanziosi, mantenendo però inalterata la correttezza dei bilanci, ha diritto alla prova di appello. Per i calciatori: mancano dieci partite, che equivalgono a 30 punti; oggi non ci sono più gare infrasettimanali purtroppo, ma questo dà la possibilità a Calzona di preparare al meglio le partite. Senza scusanti, il Napoli è più forte delle altre pretendenti, e può vincerle tutte. Tutte, a cominciare da San Siro con l’Inter, che, non fosse altro che per onorare lo scudetto prima di consegnarglielo, si deve provare a battere. Per la società: non lasciarsi più coinvolgere in discussioni, che portano solo a caduta di stile  Lavorare, con discrezione e competenza, e programmare un futuro all’altezza del Napoli, cioè azzurro, come il cielo. Forza Napoli Sempre.

*Scrittore, tifoso Napoli

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