Fatevene una ragione

Salvatore Savino *

Napoli è un mondo a parte, nel quale nulla è comprensibile e tutto è chiarissimo al tempo stesso. Un popolo che dovrebbe per sua natura essere epicureo, dedito alla ricerca del piacere, della felicità, del saper abbandonarsi al godimento all’ assaporare ogni attimo di gioia, e che invece, stoicamente, tratta le emozioni come una malattia dell’anima, quasi come si sentisse fuori luogo nelle occasioni di festa, come se non ne avesse diritto di festeggiare. Come rispondeva il grande Troisi quando, trovandosi fuori Napoli, gli dicevano: emigrante? E lui rispondeva: no, ma perché? Il napoletano non può viaggiare, può solamente emigrare?  Abbiamo dovuto vivere questa festa, attesa 33 anni, come si organizza un evento nefasto: zone rosse, strade chiuse, la preoccupazione che precedeva l’arrivo di un’orda barbarica, lo stato di emergenza di un paese assediato. La mattina dopo, il venerdì dopo Udine, il giorno in cui ormai aritmeticamente eravamo Campioni d’Italia, sono sceso per le strade della mia città e mi sono vergognato, mi sono preoccupato di essermi svegliato altrove, come in un giallo psicologico. Niente meno non ho trovato a terra qualche residuo della festa della notte appena trascorsa, non c’erano resti di fuochi d’artificio, non c’erano cumuli di rifiuti, addirittura non ho incontrato nessuno vestito da Pulcinella o da pazzariello, non c’era un ciucciariello inbandierato e nemmeno qualcuno in piedi, sui tavoli di qualche osteria, a mangiare gli spaghetti con le mani. Ma dove è finita la Napoli che tutti vorrebbero continuare a descrivere? Non ho sentito un mandolino, non ho visto famiglie intere sugli scooter senza casco, e, incredibilmente, né’ sparatorie né sfide a duello hanno ostacolato il mio cammino. Ma la cosa che più mi ha imbarazzato, che mi ha fatto sentire davvero in una realtà virtuale, in una specie di metaverso, è stato il vedere che, ed è una cosa assurda e allucinante, addirittura molti cittadini napoletani lavoravano! Gli uffici erano aperti, erano in funzione gli ospedali, i negozi erano pieni di gente, e non riesco a capacitarmi di come persino i ragazzi fossero addirittura a scuola! Il Napoli ha vinto lo scudetto, signori miei, e lo ha vinto meritatamente, sul campo e prima ancora nella programmazione, nell’organizzazione societaria che non ha avuto bisogno di indebitarsi o di dedicarsi a gestioni ballerine e bilanci poco ortodossi.

É  uno scudetto bello, vero, pulito, di un gruppo di splendidi calciatori guidati da un grande tecnico, e’ lo scudetto di chi, sul campo, ha dato ogni stilla di sudore e di impegno per dare la sua mano alla squadra. È  lo scudetto dell’applicazione al lavoro di Spalletti, che chi vi scrive ha visto, dal primo giorno di ritiro a Castel di Sangro, essere attento ad ogni minimo dettaglio, alla creazione di un gruppo affiatato, unito, persino quando, con una ramanzina paterna, spiegò ad Osimhen quanto contasse il rispetto per i compagni. Non è in alcun modo il riscatto della città. Napoli non deve riscattarsi da nulla: siamo e restiamo una capitale mondiale di arte, cultura, storia, musica, e non dobbiamo rifarci il trucco come una vecchia attrice ormai sul viale del tramonto. Dispiace per tutti quelli che forse avrebbero voluto tutto tranne che vincessimo noi, ma dovranno farsene una ragione. Quando si vince un campionato con 20 punti di vantaggio, gli altri devono solo dire una parola: bravi. Tutto il resto che viene detto può essere solo rabbia, odio sopito e, perché no, invidia. Sempre su questo punto, vorrei subito chiarire: molti di questi che non sono stati felici del nostro scudetto, aspettavano solo la certezza aritmetica per chiudere l’argomento campionato e trovare nuovi modi di provare a colpirci. Se qualcuno pensa che io faccia del vittimismo, vi tolgo subito il dubbio: no, assolutamente no. Semplicemente faccio tesoro di quasi 50 anni di calcio, giocato e seguito, nulla di più. Sarà un caso, ma alla fine del campionato mancano ancora quattro partite, quindi potrebbero serenamente occuparsi di calcio giocato, di campo, e invece? La ricerca affannosa, spasmodica, di seminare zizzania, di esacerbare gli animi, non fa nemmeno riflettere: ogni anno con il Napoli si fa così. Sono quasi vent’anni che il Napoli deve smantellare la squadra, che si preannuncia un esodo di proporzioni bibliche, una sorta di crollo tecnico, e poi? Sono gli stessi anni che siamo ai primi posti, che anche cedendo giocatori di qualità ne prendiamo di migliori, gli stessi anni che giochiamo e vinciamo con le più grandi squadre europee. Mi appello ai tifosi napoletani: non  cadete nel tranello, e prendo Kim come esempio: lo scorso anno, ceduto il nostro grande KK (per qualcuno lo avevamo già venduto almeno tre volte prima), arriva il ragazzo coreano. Non voglio scendere nel triste ricordo di qualche striscione che lo riguardava insieme al presidente, ma  vorrei ricordare, a me stesso e agli altri, il meraviglioso coro che accompagna i suoi interventi in campo, e la gioia nei suoi occhi quando si è fatto fotografare con la curva in festa alle sue spalle. Ora ci dicono che è già al Manchester United, perché il club inglese vuol pagare la clausola rescissoria. Non è un obbligo, è una opportunità, ma se il nostro campione vuole restare, nessuno lo obbliga ad andare via. Vorrei comunque ricordare a tutti che tanti sono andati via e tanti sono arrivati, e, con questa modalità, siamo diventati Campioni d’Italia. Non lasciatevi trascinare sul terreno della divisione, del farci sentire inferiori: non siamo quelli che per caso ogni 30 anni vincono qualcosa, giusto per farci stare tranquilli.  Non dimentichiamo mai, anzi, ricordiamo noi a costoro, che siamo e restiamo una meraviglia del mondo, come attestano le migliaia di turisti che ci vengono a trovare. L’unica novità è che ora siamo una meraviglia anche nel calcio. Fatevene una ragione: Il Napoli è campione. Forza Napoli Sempre.

*Scrittore, tifoso Napoli