Damiano Mattana
Nel 1973, lo scudetto a Roma non si vedeva da più di trent’anni. Manlio Scopigno lo aveva vinto a Cagliari tre anni prima, permettendo a sei di quella squadra di andarsi a giocare il Mondiale in Messico, fermandosi solo al cospetto del miglior Brasile di sempre. Anzalone ci aveva provato, ingaggiando un “filosofo” nell’era dei maghi per replicare nella Capitale il miracolo isolano. Un sogno durato lo spazio di sei partite. Forse perché a Roma non era tempo di miracoli ma di idee. E allora le chiavi dello spogliatoio vanno a uno svedese, che non né filosofo né mago. Anche se qualche magia in realtà l’aveva già fatta tra Varese e Firenze. Nils Liedholm è già una leggenda del Milan, giocatore simbolo del trio delle Tre Kronor con Gren e Nordhal negli anni Cinquanta. Quando arriva a Roma c’è da scrollarsi di dosso un epiteto dal suffisso scomodo. Anche in questo Anzalone aveva profuso i suoi sforzi, con una visione forse fin troppo innovativa per i tempi. Ma l’approdo è solo l’inizio della scalata per mandare in archivio gli anni della Rometta. Perché lo scudetto torna sì nella Capitale ma in casa Lazio. C’è bisogno di cambiare. Il calcio, prima ancora che la mentalità. Niente maghi allora, ma un Barone con la passione dell’astrologia. Nato sotto il segno della Bilancia.
Alberto Mandolesi “nasce” anche lui in quegli anni. Come giornalista e voce delle nascenti radio romane. La Roma del Barone non la racconta ma la vive. E comincia con musica e pallone, diktat on air della neonata Radio Roma. Con quella stessa chitarra che pizzicherà in compagnia dei protagonisti in campo del decennio successivo. Perché con Liedholm c’era un’altra musica da suonare. Note nuove, appena percepite nell’anno del terzo posto davanti alla Lazio scudettata. Ma che diventeranno un delizioso blues solo qualche stagione dopo. Col Barone al timone di Roma per la seconda volta e una storia leggendaria tutta da scrivere. Chiusa solo a un passo dal diventare epica.
Alberto Mandolesi, dall’era dei “maghi”, trascinatori e uomini di mordente, a quella di un tecnico moderno, che rompe alcuni schemi ormai superati e impone una nuova visione tattica. Nils Liedholm è l’emblema di un passaggio di epoche per il calcio italiano?
“Dovendo rispondere con un sorriso, potremmo dire che anche mister Liedholm non scherzava in quanto a maghi. Anzi, si fidava ciecamente dei consigli che gli dava Mario Maggi, e spesso portava la squadra in ritiro a Busto Arsizio anche a costo di trovarsi lontano dai luoghi delle partite in programma. Più seriamente c’è da rimarcare come il Barone colse immediatamente l’idea nuova del calcio che si stava facendo strada: quello degli olandesi che non davano punti di riferimento agli avversari e che, grazie anche a piedi buoni, praticavano uno straordinario possesso palla che negli anni 70 venne chiamato col nome di Calcio Totale. Una specie di Tiki Taka dei giorni nostri”.
Si comincia infatti negli anni Settanta, durante le ultime propaggini dell’era Anzalone. Poi il ritorno e il ciclo di successi dopo l’arrivo di Dino Viola. Anche la Roma aveva bisogno di un cambiamento?
“Liedholm arrivò a Roma per sostituire Manlio Scopigno, ed esordì all’Olimpico in un giorno molto particolare perché, purtroppo sta tornando d’attualità: la domenica in cui ebbe inizio la famosa Austerity (per la crisi del petrolio). Probabilmente non immaginava neanche lui che proprio quella giallorossa sarebbe stata la panchina del record di 480 presenze complessive. In quanto alla Roma, esiste una Roma prima dell’ingegnere Dino Viola (che veniva chiamata Rometta) e una Roma dopo il suo avvento”.
Viola si insedia e richiama Liedholm, che torna dopo due stagioni e uno scudetto al Milan. Il primo anno però è di assestamento…
“Viola, appena insediato, regala ai tifosi il tecnico migliore in circolazione. Colui che aveva appena vinto il decimo scudetto della storia del Milan: lo Scudetto della Stella. Liedholm eredita una squadra che nel mese di maggio si è salvata dalla retrocessione solo all’ultima giornata, ma si piazza settimo in classifica, e vince la Coppa Italia”.
Come reagì la piazza al ritorno?
“La piazza accolse molto positivamente il suo ritorno, ricordando soprattutto la stagione 74-75, quella chiamata come ‘Il Campionato del Terzo Posto’ che a quei tempi era davvero una rarità in casa giallorossa”.
A proposito della prima esperienza a Roma: in quelle quasi quattro stagioni c’era stata già la sensazione che qualcosa potesse cambiare nella storia della Roma?
“Sinceramente no. Se si toglie l’exploit del sorpasso in classifica sulla Lazio (e dei tre derby vinti, compreso quello di Coppa Italia) nell’anno in cui giocava con lo scudetto sulle maglie. Malgrado gli sforzi, il presidente Anzalone non riuscì mai a mettere a disposizione del tecnico una squadra competitiva”.
Lo spessore degli uomini fa la differenza. Liedholm e Falcão, allenatore di ruolo e allenatore in campo: è stata la combinazione vincente?
“Il calcio è uno sport collettivo. Quindi non si potrebbe mai dire che sia tutto merito di un allenatore o di un giocatore, ma in questo caso la miscela fu davvero esplosiva. Due caratteri estremamente riflessivi. Entrambi del segno della Bilancia (per Liedholm la cosa era importantissima), e capaci di intendersi anche senza parlare. Falcão era l’allenatore in campo che interpretava il gioco esattamente come lo pensava il Mister. La fiducia era completa”.
Fino a che punto?
“Posso svelarti che la sorprendente idea di schierare il brasiliano come centravanti nella sfida contro la Juventus, nacque da Falcão stesso mentre scendevano l’ascensore nel ritiro dell’Hotel Pamphili”.
Il “Barone” non fu un soprannome casuale. Si racconta della sua compostezza anche dopo l’annullamento del gol a Turone nell’81. Cosa avrebbe pensato, secondo te, un allenatore come Liedholm della moviola in campo?
“Bella domanda. Penso che sarebbe stato favorevole all’uso della moviola. Specialmente dopo essere stato derubato di uno scudetto per un fuorigioco inesistente nell’azione del gol di Turone. Liedholm, comunque, era uomo di sport, e accettava con classe qualsiasi decisione. Mai visto litigare con gli arbitri, mai visto discutere con i giornalisti”.
Una squadra vincente assemblata in tre anni: quello fra Viola e Liedholm può essere considerato, per la Roma, il primo vero esempio di sinergia perfetta tra società e sfera tecnica?
“Dipende tutto dalle scelte che vengono operate dalla società. Parlavamo di comportamenti signorili e mai sopra le righe, e Dino Viola si allinea perfettamente con quella Roma. Anzi, direi che plasmò quella Roma a sua immagine e somiglianza. Voglio ricordare che il capitano era Agostino Di Bartolomei”.
Che segnò il primo rigore nella lotteria di Roma-Liverpool. Non fu il vero atto conclusivo dell’esperienza di Liedholm a Roma ma quella delusione può essere considerata il punto di non ritorno?
“La notte maledetta in cui perdemmo il titolo ai calci di rigore, avemmo tutti la sensazione che si fosse rotto un meraviglioso incantesimo. Quella è stata la Roma più forte di tutti i tempi. E non a caso meritò il soprannome di Magica”.
Nel 97 l’incrocio con la presidenza Sensi…
“Quello del 1997 è il suo quarto ritorno a Roma. Liedholm ha 75 anni, ma non si nega a una chiamata che lo porterà a correre al capezzale di una squadra spaccata dalla conduzione di Carlitos Bianchi”.
Torna per scacciare i fantasmi ma anche il suo (pur breve) scorcio di stagione da direttore tecnico si rivelò difficile… Richiamarlo fu una vera scelta tecnica o l’obiettivo era infondere di nuovo fiducia nella piazza?
“Nessuno voleva subentrare in quella situazione con solo otto partite da giocare. Consideriamolo come il suo ultimo atto d’amore verso una società e una città che ha sempre amato”.
Era un calcio diverso quello degli anni Ottanta. Com’è stato raccontare e “toccare con mano” la Roma del Barone?
“È stato il periodo più bello della mia vita. Ho avuto la fortuna anagrafica di trovarmi nel posto giusto al momento giusto. E i successi della Roma mi regalarono un successo personale inaspettato. Ero coetaneo di quei giocatori, molti di loro venivano a casa mia quando organizzavo spaghettate e schitarrate. E, pensa un po’, qualche volta ho preso un passaggio sul pullman della squadra. Una cosa inimmaginabile ai tempi attuali. Ma ho avuto fortuna: sono della Bilancia anche io, e a Liedholm questa prerogativa era molto gradita…”.