Il nuovo Mancio e l’altra occasione delle donne azzurre

Nella foto: Roberto Mancini (FOTO DI SALVATORE FORNELLI)

di Dario Ricci *

Il Mondiale svanito, i pomeriggi e le sere davanti alla tv (stavolta con la copertina sulle ginocchia, invece che col gelato in mano), il doversi scegliere (con scarsa voglia e ancor meno convinzione) un’ “altra” squadra per cui tifare (la mia, lo premetto, sarà il Senegal), per provare a sentirla almeno anche un po’ nostra, la festa del calcio globale. Ancora spettatori, noi italiani, del Campionato del Mondo; come a Russia 2018, per la terza volta (ahinoi, la seconda consecutiva) nella storia causa mancata qualificazione (se non si conta l’edizione del 1930, cui non partecipammo per scelta). Qatar2022 è sfumato come un miraggio in un deserto, ancor prima del ko inopinato di Palermo contro i macedoni, in un girone di qualificazione segnato da errori di mira, e di direzione. Di entrambi si è detto e scritto molto. Qui, dalla bandierina del calcio d’angolo, avevamo sommessamente ricordato in tempi non sospetti (e quindi certo meno amari di quelli attuali) che tra noi e il resto d’Europa c’erano stati appena due rigori, stretti a panino tra la solidità di un gruppo carico di fiducia e le certezze di un gioco innovativo (più per noi, in realtà, che per i nostri avversari) e propositivo. Assottigliatasi progressivamente la fiducia, imborghesitosi (come sempre capita dopo eclatanti successi) il gioco, sono rimasti i due rigori, che stavolta ci si sono rigirati contro, fino all’aspro verdetto della notte del ‘Barbera’ (che già in qualche modo si respirava, tra i vicoli di Palermo, nelle ore precedenti la partita).

Resta il Mancio, dunque, ed è un bene: è lui ad avere in mano le chiavi del motore, le mappe mentali ed emotive del gruppo, l’esperienza, la vittoria, e al tempo stesso impresso a fuoco nell’animo il dolore per il fallimento mondiale (destino beffardo, per uno come lui che da giocatore in maglia azzurra un mondiale vero, sul campo, non l’ha mai giocato, al netto della partecipazione solo formale a Italia ’90); senza trascurare il fatto che alternative credibili in giro non ve ne fossero (visto il legame tra Ancelotti e il Real Madrid che toglie per ora dalla piazza l’unico candidato che dalla bandierina ci sembra adatto per qualità e prestigio).

Difficile ora dire se la vittoria di Konya con la Turchia ha un qualche peso specifico: troppo scioccante il colpo ricevuto, troppo roboante il tonfo che in pochi mesi c’ha trasformato dagli angeli prediletti al più infimo dei luciferi. Quel che è certo (come saggezza e solida educazione mentale impongono) è che comunque ripartire e guardare avanti si deve, trasformando la crisi in possibilità, opportunità.

Ecco allora che il secondo flop iridato azzurro può – in questo senso – offrire magari una seconda, ulteriore, occasione di visibilità anche e soprattutto al nostro movimento femminile, cioè alle azzurre di Milena Bertolini. Già nel 2019 le nostre ragazze seppero attirare attenzione, simpatie, tifo e ascolti tv con un Mondiale in Francia concluso con un inatteso approdo ai quarti di finale, e con una crescita d’interesse bloccata poi (come tanto altro) dall’arrivo della pandemia. Stavolta l’occasione si ripropone, con maggiore consapevolezza, una squadra leader del movimento di club (la Juventus) che sta costruendo anche la propria dimensione internazionale, e una Nazionale che tra l’8 aprile (con la Lituania) e il 12 (con la Svizzera, sempre lei…) giocherà due appuntamenti-chiave sulla strada che porta ai mondiali 2023 che si giocheranno in Australia e Nuova Zelanda. Prima però, ecco gli Europei, a giugno e luglio: Bonansea e compagne sono nel girone con Belgio, Islanda e Francia; fase conclusiva in Inghilterra, finale a Wembley. Se bisogna affidarsi anche ad astri e cabala per poter ripartire, ecco che la coincidenza sembra propizia, e da sfruttare. Ad ogni costo.

*giornalista di Radio24-IlSole24Ore    

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