Questo amore…

Salvatore Savino*

In casa, nonostante fosse ancora molto presto, l’aroma del caffè aveva già lasciato il posto al fragrante profumo del ragu’, che pippiava lento sul fuoco, in cucina.

Secondo regola, avrebbe dovuto cuocere per ore ed ore, ed infatti cosi’ sarebbe accaduto. Lo scoppiettio del lento bollore sarebbe stato il sottofondo alla vita di casa fino a pomeriggio inoltrato.

La tazza era gia’ preparata sul tavolo, con accanto i miei biscotti preferiti, il latte caldo ma non troppo, perche’ come a tanti bambini mi davano fastidio le

 ” pellecchie” che fa il latte quando bolle. Ne presi uno, lo inzuppai e lo mangiai, ma non riuaci’ oltre, avevo lo stomaco chiuso, come stretto da un’ ansia al tempo stesso dolente e meravigliosa.

Mi affacciai al balcone. Nonostante il sole, l’ aria frizzante della domenica mattina d’inverno stava risvegliando, a poco a poco, tutto il piccolo mondo che mi stava intorno. Le persiane difronte cominciavano rumorosamente ad alzarsi, facendo scappare dalle ringhiere i passerotti che vi si erano appisolati in attesa delle mollichine di pane generosamente lasciate da qualcuno. Quel giorno era troppo importante per me, anche se le lancette dell’orologio mi sembrava non si muovessero, lasciandomi in un’attesa vibrante.

Finalmente, qualche ora dopo, ero seduto in macchina, e dal finestrino, guardando fuori, scorgevo altri bambini , che con i nasini schiacciati sul vetro lasciavano trasparire una grande emozione, mentre le auto si incolonnavano al casello della tangenziale, strada veloce inaugurata da qualche mese. Superata l’ultima curva, lo stadio San Paolo mi apparve nella sua maestosa grandezza. Ai miei occhi di bambino sembrava talmente alto da non riuscire a scorgerne la sommita’. Con il cuore che mi batteva all’impazzata, ci mettemmo in fila per entrare, un uomo strappo’ a meta’ i biglietti, e a me sembro’ un gesto sacrilego, un’offesa al mio aver desiderato tanto quel pezzetto di carta che mi consentiva di entrare. In cima ad una scalinata, un varco apri’ il mio sguardo su una enorme distesa verde, il campo. Questa emozione dell’ultimo scalino delle gradinate é rimasta indelebile nel mio cuore, e la provo ancora ogni volta, anche se da quella mattina sono passati quarantotto anni…

Per la prima volta ascoltai i cori dei tifosi, vidi migliaia di bandiere garrire al vento, e mi sentii un eroe dei libri d’avventura, un condottiero che aveva un solo desiderio: vincere .

D’un tratto , da una scalinata a bordo campo, cominciarono ad uscire i giocatori ed io, sulle punte come a voler avvicinare lo sguardo, cercai di riconoscerli, di confrontarli nella mente con le immagini delle figurine dell’album che gelosamente custodivo a casa. Vidi il capitano Totonno Iuliano, orgoglioso con la sua fascia al braccio, la freccia nera Faustinho Cane’, pal’e fierro Bruscolotti, e, come ogni bambino, mi esaltai vedendo entrare in campo il bomber, il Gringo che veniva dal Brasile, Sergio Clerici. La partita comincio’, e il mio cuore di bambino palpitava insieme a tutti gli altri sperando di vincere. Il primo tempo termino’ senza reti, e anche il secondo sembrava avviarsi mestamente verso un punteggio a reti inviolate. E’ l’ultimo minuto, quando un pallone dalla destra arriva in area, poco più avanti del dischetto del rigore . Con un balzo felino, il nostro numero undici, con i lunghi capelli al vento come tanti giovani portavano in quegli anni, ci si avvento’, e con un tocco veloce lo scaravento’ alle spalle del portiere avversario. Qualcuno mi prese in braccio e mi sollevo’ in alto, e a me sembro’ di volare, mentre a squarciagola gridavo gooool ! Non so quante volte lo ripetei, mentre intorno a me tutti si abbracciavano, urlavano di gioia, e qualcuno, commosso, si lascio’ andare ad un pianto liberatorio , accasciandosi stanco sui gradoni . Era il 3 febbraio del 1974, era Napoli Cagliari, e quel numero undici era Giorgio Braglia. Fu allora che nacque il mio amore per il Napoli, il mio vivere per questa squadra, per questi colori , per questa citta’, la più bella città del mondo.

Un amore di quelli che ti prendono l’anima, che ti trascinano nella sofferenza e nella gioia con lo stesso impeto, e per tutta la vita. Un amore che viene descritto meravigliosamente da un grande poeta francese di cui oggi ricorre l’anniversario, Jacques Prevert :”…questo amore cosi’ violento, cosi’ fragile, cosi’ tenero, cosi’ disperato, questo amore bello come il giorno, cattivo come il tempo quando il tempo é cattivo, questo amore cosi’ vero, cosi’ bello…tremante di paura come un bambino quando é buio, così sicuro di sé, come un uomo tranquillo nel cuore della notte…”

Tornammo a casa, ebbri di gioia, ubriachi di felicita’, mentre il ragu’ continuava a pippiare…

Forza Napoli Sempre

*Scrittore, tifoso del Napoli