di Dario Ricci *
Arbitri, Var, allenatori espulsi, mercato. A guardare il menù giornaliero offerto dai ‘trend topics’ della nostra serie A, viene da pensare che il piatto principale – ciò quello che viene servito sul prato verde incorniciato dalle righe bianche – non sia poi di così alta qualità. Impressione confermata poi da quel che s’è visto, ad esempio, nel derby d’Italia a San Siro: alzi la mano chi (in una partita in cui l’Inter ha fatto vedere di più e meglio, ma senza mai sporcare i guanti di Szczesny) non ha immaginato la Beneamata e la Vecchia Signora messe in scena da Inzaghi e Allegri, al cospetto anche solo di un ottavo di Champions, senza provare un immediato senso di inadeguatezza. Sensazione che – si spera – evaporerà col passare delle settimane, ma senza dimenticare che già novembre è mese se non di verdetti, di indicazioni poi spesso confermate dai fatti.
Al di sopra di questo scenario si colloca per ora – per qualità di gioco e rosa – il Napoli di Lorenzo Insigne e Luciano Spalletti, nomi scelti non a caso come emblemi di una rosa di qualità a oggi esaltata da un tecnico che sembra al momento aver trovato quella maturità (e conseguente serenità di scelta e di giudizio) spesso mancategli sui palcoscenici più significativi della sua carriera (e non sempre per colpa sua, se è vero che la sorte o l’altrui volontà ne hanno fatto il rottamatore di Totti e Icardi in rapida sequenza, con conseguente rapido accompagnamento alla porta come ringraziamento…)
In questo panorama, nella giornata dei quattro topo allenatori messi dietro la lavagna dal giudice sportivo (oltre a Inzaghi e Spalletti, pure Mourinho e Gasperini), chi il tecnico titolare c’è l’ha (vedi il Milan fresco co-capolista), se lo tiene stretto: Stefano Pioli sta tenendo entrambi le mani sul volante per mantenere in carreggiata un Diavolo scosso dal turbinio emotivo della Champions ritrovata e chiamato adesso a venire a patti con un Ibrahimovic improvvisamente rispecchiatosi nei suoi 40 anni, ma al tecnico emiliano la saggezza contadina non manca, e allora segnati in rosso sul calendario già ci sono le date del 3 (Milan-Porto) e 7 novembre (derby), che daranno inequivocabili indicazioni di senso alla stagione rossonero.
Quel senso che ancora non hanno trovato i “guru” delle romane: la sponda giallorossa del Tevere sta leggendo sfogliando con timore e tremore le pagine di “Dottor Jekyll/Mister Mou”, il romanzo iniziato dai Friedkin a sorpresa a giugno ma in cui il protagonista – facile prevederlo… – ha ormai preso il controllo di sceneggiatura e personaggi principali e secondari. A distanza di giorni ancora non si capisce il senso ultimo del cappotto rimediato in Conference League nel gelo norvegese, che pur in una gara senza conseguenze sulla classifica (mai interessi qualcosa…) ha permesso a Mourinho di lanciare messaggi sinistri e contraddittori a proprietà, spogliatoio, singoli giocatori “O vince tutto o non arriva al panettone”, hanno pensato in tanti all’annuncio del suo ingaggio, quest’estate: ipotesi ancora entrambi in campo a questo punto della stagione, ma intanto un sereno brindisi natalizio a Trigoria non sarebbe già approdo da buttare via.
A Formello, invece, gli interrogativi sono diversi ma ugualmente pressanti, con un Sarri finora fin troppo simile a quello che aveva convissuto per un anno, a Torino, con l’idea di poter essere – secondo opinione sua e del club – il tecnico di una Juventus diversa, spettacolare e vincente. Forse nasce proprio qui l’equivoco: dal concetto stesso di “sarrismo” che – se qualcosa è, ed è auspicabile che lo sia – s’è visto con continuità e risultati solo a Napoli, non a Londra nella breve esperienza al Chelsea e men che meno nella fulminea esperienza bianconera (e in entrambi i casi, è bene ricordarlo, titoli in bacheca sono comunque arrivati). A completare la riflessione, valga il fatto che negli ultimi 30 anni sugli italici campi solo Sacchi e Zeman hanno – a personale modesto parere – connotato in maniera definitiva e al di sopra di ogni dialettica le proprie squadre con un indelebile marchio di fabbrica, e il secondo (che dispose di rose ricche e ampie, ma mai equiparabili a quelle del Milan degli Invincibili) addirittura più del primo (sempre parere personale e modesto, e quindi opinabile, e non solo per questo).
Ciliegina sulla torta (o meglio, sulla panchina…) l’immaginifica ipotesi di vedere Antonio Conte seduto nell’area tecnica dell’Old Trafford, alla guida di quel Manchester United (che già fu di Mourinho…), sgolarsi per indottrinare tale Cristiano Ronaldo ai segreti e ai misteri del pressing alto: scena che – già solo a pensarla – vale l’immediata prenotazione (a qualsiasi costo) di biglietto aereo + ticket d’ingresso al Teatro dei Sogni, per l’eventuale gara d’esordio della strana coppia.
*giornalista di Radio24-IlSole24Ore